VOLUTTA’ E ONORE

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La storia dell’uomo ha conosciuto l’età classica come una delle più fiorenti di tutto il nostro passato: essa infatti, pur collocandosi in tempi piuttosto remoti, è sempre così vicina a noi, così pingue di insegnamenti, così fertile anche in un terreno  che di cultura è ormai poco fecondo. Dopo la caduta dell’Impero romano, il mondo si disgregò in tante entità politiche e attuò un lento processo di rinascita, iniziato nel Medioevo e culminato nell’età dell’Umanesimo che avrebbe poi condotto all’epoca rinascimentale.

Tanti cambiamenti sono avvenuti, ma queste due età dell’uomo hanno molto in comune e sono strettamente connesse tra loro: da una parte infatti si ha la classicità e tutte le sue meraviglie, di cui poesia, arte e letteratura sono un esempio singolare; dall’altra un nuovo mondo, costruito sulla scorta del vecchio, viene a crearsi, ma non certo senza delle solide fondamenta che lo sostengano. I pilastri di questo cantiere sono le opere del genio  classico, la cui perfezione è solamente imitabile dall’uomo rinascimentale; si può dunque affermare che la classicità diventa il modello per eccellenza di un mondo perfetto, mondo in cui i precursori della storia europea  hanno divulgato e trasmesso la loro saggezza in qualsiasi campo del sapere.

Il tempo ha fatto sì che costoro venissero dimenticati, per poi essere riscoperti nel loro massimo splendore; ma il tempo è a volte nemico dell’uomo e solo una piccola parte della classicità è giunta ai giorni nostri. Se il tempo è il nemico, allora bisogna fare in modo di sfruttarlo prima che sia tardi. Diceva Alceo che la vita è un dito, non si sa né quando né come né dove né perché finirà,  si sa solo di esserci, anche un attimo prima di non esserci più. “Carpe diem”, ossia “cogli l’attimo”, diventa dunque la chiave del tempo, ciò che permette di non sentirne il peso. Il mondo classico ha visto diversi poeti che hanno cercato di esprimere le loro sensazioni, il loro turbamento, le loro inquietudini per via del tempo, che pare essere condizionato proprio dalle situazioni che la vita riserva. Prendiamo come esempio il celebre oratore latino, Marco Tullio Cicerone: egli ha scritto opere di degna ammirazione, cosa che gli ha garantito una certa fama presso i letterati del XIV-XV secolo, tra cui Petrarca in persona. Quest’ultimo riuscì a trovare un codice contenente l’epistolario di Cicerone, ma ne rimase alquanto deluso: si aspettava infatti uno stile più consono ad un prosatore estremamente colto. L’errore di Petrarca è stato quello di non tener conto che un linguaggio così colloquiale  era dovuto al fatto che le lettere erano indirizzate ai suoi affetti nei momenti più difficili: celebre la lettere scritta alla moglie Terenzia, nella quale esprime le sue preoccupazioni per via della sua lontananza, a seguito dell’esilio. Teme che per lui non ci sia più niente da fare, che il tempo sia giunto al termine, che non vedrà più i suoi figli, che non potrà assistere ai loro successi. Se solo avesse saputo ciò che lo attendeva, si sarebbe goduto ogni singolo istante della sua vita stando vicino a coloro che davano a lui un motivo per vivere; invece egli, di fronte al tempo, ha scoperto che il grande oratore e avvocato, di cui Roma non poteva che essere fiera, era solo un uomo, un padre, un marito, che si ritrova faccia a faccia con la sua umana debolezza e nulla gli sarebbe più gradito che cogliere l’attimo con i suoi familiari. Il tempo per lui ora scorre lentamente, ogni secondo è paragonabile alle sofferenze dell’inferno, non è più importante essere omaggiato dal popolo come un salvatore della patria.

E che dire poi della forza inspiegabile e oscura dell’amore, sentimento primordiale, che sconvolge l’uomo sin dalle sue origini? E’ una croce, è un paradiso, che può sconvolgere il senso del tempo e travolgere ogni emozione umana. L’amore può essere visto nel suo lato più semplice, com’è nel caso del poeta romano, Gaio Valerio Catullo, la cui passione amorosa è prevalentemente incentrata sul piacere erotico, dunque su un “carpe diem”  piuttosto fisico, in quanto è lecito al poeta approfittare del momentaneo consenso della donna per ottenerne un appagamento fisico e psicologico temporaneo, ma non eterno. Col tempo quanto è accaduto, cadrà nell’oblio e nulla rimarrà:«I giorni possono nascere e tramontare; noi, una volta che si è spenta la nostra luce, dobbiamo dormire un’unica eterna notte. Dammi mille baci, e poi cento»(Catullo, V, 4-6). Ben diverso invece è chi sfrutta la propria vita per far sì che una nuova venga alla luce: dare può essere più ammirevole che ricevere, infatti il concepimento è forse il miracolo più grande che il mondo abbia mai visto, e quell’attimo in cui un bambino apre gli occhi per la prima volta tra le braccia della madre, resta indimenticabile e inimmaginabile. Questa piccola vita cresce, affronta le prove del tempo, pur essendo consapevole che esso e le sue forze non daranno mai a lui la facoltà di sanare questo debito; ma dare la vita non è un do ut des, dunque quell’istante in cui si vedono le proprie voluttà soddisfatte è impareggiabile in confronto al tempo che una vita impiega per compiersi. E prima che ciò avvenga, bisognerebbe evitare di sprecare un dono coì grande impiegandola nell’errore e nella dissolutezza; se è vero infatti che concepire la vita è un atto di estrema forza, allora rinunciare ad essa, perché un’altra continui, è sicuramente degno della più grande delle virtù: il sacrificio. Esso annulla il nostro tempo, annulla ogni cosa, ma lascia solo un’unica certezza, ossia che quanto più si mette amore nel farlo, tanto più chi ne è testimone capisce il vero significato di questo dono e impara a vivere quel singolo attimo di gesto onorevole come un insegnamento da seguire.

Quest’ultimo esempio di “carpe diem” coglie il suo apogeo nelle vite giovani, laddove la spensieratezza rende l’anima e il corpo immortali, invincibili e liberi da ogni sorta di inquietudine. Il tempo è fruibile solamente per i divertimenti, per le ragazzate o per cose di poco conto, proprio perché il tempo scorre più  veloce che mai, alla pari di un fulmine in una tempesta. La giovinezza è dunque un fiore rigoglioso ed estremamente vivace, che purtroppo si ritrova con l’elemosinare il tempo, visto che di tutti i fiori che l’uomo coglie , quello della giovinezza è il primo a morire: «Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia; chi vuol esser lieto, sia, di doman non v’è certezza»(Lorenzo de’ Medici, il Trionfo di Bacco e Arianna).

Il tempo è pertanto una veloce realtà; sta a ciascun individuo sfruttarlo nella maniera migliore possibile, cosicché la vita, pur essendo così fragile e precaria, assuma un significato e uno scopo che non infanghi l’unica variabile indipendente della natura e renda l’esistenza vuota e priva di quel contenuto, che è necessario possedere per rendere il tanto famoso “carpe diem” un’esortazione all’ efficienza emotiva, al rispetto dei nostri predecessori e di tutto ciò che hanno lasciato, all’educazione delle future generazioni a non tentare la caducità del tempo.

 

Salvatore Sangani IV A

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