Giustizia per la famiglia Taylor

Si chiamava John Taylor il ragazzo di 15 anni trovato morto nella sua scuola a Manchester.
John è sempre stato un ragazzo di poche parole, timido e riservato, perfino con me, sua madre. Mio marito morì 13 anni fa: stavamo facendo il nostro primo viaggio in auto assieme al piccolo John. La meta era Oxford, città nella quale io e Micheal ci siamo innamorati. Intorno le 5 del pomeriggio del 14 Luglio, la nostra vita cambiò per sempre.
Oggi penso che la sua riservatezza fosse dovuta all’assenza di un vero padre, un uomo con cui guardare le partite di football, giocare al biliardo e ridere delle sconfitte di squadre avversarie.

Mio figlio si riteneva una persona diversa dagli altri, magari perché non aveva un padre e non vedeva quasi mai la madre che aveva molto su cui lavorare.
A distanza di tre anni, mi ritrovo ogni sera seduta sul suo letto, a ricordare tutti i bei momenti passati insieme: i primi passi, le prime parole, le prime soddisfazioni. Momenti che sembrano molto recenti, così importanti per me.
Quando ricevetti la chiamata della scuola, sentì come un colpo al petto, una pallottola in testa. Non riuscivo a pensare a cosa potesse essergli successo. Forse non volevo farlo. Ero terrorizzata da quest’idea. Lo sono tutt’ora. Speravo che il preside si sbagliasse, che quello non fosse mio figlio, o che fosse un incubo impossibile da dimenticare. La mia mente non capiva altro.
Corsi a scuola, poco prima della pattuglia di polizia (di cui io ero maresciallo), e vidi un’ambulanza portarlo via, strapparlo dalle mie braccia. Piangevo, urlavo il suo nome, non riuscivo a crederci. Il preside e molti professori si avvicinavano a me, cercando di tranquillizzarmi, come se fosse semplice. Li caccia via, volevo restare sola.
La scuola venne evacuata, ma tutti lì dentro erano sospettati. Il professore Cooper lo aveva mandato in bagno, data la sua richiesta d’urgenza. Si cercavano testimoni, qualcuno che l’avesse visto entrare in bagno, qualcuno che fosse con lui, qualcuno che avesse sentito qualcosa. Nessuno.
Decisi io stessa di occuparmi del caso: cominciai col controllare il suo cellulare, la sua stanza, i suoi libri. Tutto. Non trovai niente, ma sapevo di dover continuare con le ricerche. Ero certa che non si trattasse di un suicidio, come avevano pensato inizialmente i medici.
Circa due giorni dopo la sua morte, ricevetti una telefonata da parte del medico legale. Mi recai in obitorio, dove salutai un’ultima volta mio figlio. Il medico confermò che non si trattava di un suicidio, bensì di un omicidio.
Esatto. John era stato ucciso. La prima domanda che mi posi fu “perché?”. John non aveva molti amici dato il suo modo di essere, ma non aveva alcun nemico, nessuno che potesse fargli del male. Chi aveva commesso quest’atto, meritava l’ergastolo, la morte. È questo il primo pensiero che ha una madre, ma io non ero solo quello, ero anche il maresciallo della polizia di Manchester, dovevo basarmi sulle leggi dello Stato.
Dopo la conferma del medico, cominciai a pensare di tutto. Ricordai che mio marito era stato minacciato da diversi criminali e venne ricattato. Ma quando Micheal morì in quell’incidente, il clan non si fece più sentire.
Per tutti quegli anni cercavo di tenere nascosto mio figlio, per paura che potessero trovarci e portarmelo via, come per giustificare il fatto di non essere riusciti a uccidere mio marito. Portarmi via l’unica cosa a cui tenevo veramente, era di questo che avevo paura. Micheal mi aveva già abbandonato, ma sul letto di morte gli promisi che avrei tenuto al sicuro la mia famiglia nel caso il clan di malviventi si sarebbe fatto nuovamente vivo.
Non lo feci. Non protessi nostro figlio. Lo rimpiangerò per sempre. Ma in fondo, cercavo di pensare che non era colpa mia. Era un giorno qualsiasi, lo avevo lasciato a scuola come tutte le mattine prima di quella. Non immaginavo che sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei fatto.
Dodici giorni dopo la scomparsa di John, Jack Williams si presentò in caserma e si dichiarò colpevole dell’omicidio di John Taylor. Motivo dell’omicidio? Micheal Taylor gli doveva 20.000 euro, che non ricevette poiché era deceduto. Il signor Williams pensava che uccidere mio figlio potesse essere una buona causa per non aver ricevuto i suoi soldi. Ci disse di aver pedinato John e, una volta vista la sua richiesta al professor Cooper, entrò dalla finestra di un bagno, e dopo averlo visto gli disse “Questo è quello che avremmo dovuto fare a tuo padre molto tempo fa”. Era una coincidenza il fatto che John si trovasse da solo in bagno, e se ci fosse stato qualcuno, magari tutto ciò non sarebbe accaduto. Dopo l’interrogatorio, trovammo i due complici di Jack, Frank Morris e Luke James, e li arrestammo immediatamente.
Vennero condannati a 27 anni di carcere, dovuti alla fuga, all’omicidio e al ricatto di mio marito (confermato dopo le perquisizioni delle proprietà dei delinquenti).
L’incubo sembrava finito, ma quell’uomo ed il suo clan avevano cercato di uccidere Micheal e mi avevano portato via John. Ero rimasta sola. Volevo essere felice, perché avevo fatto giustizia alla famiglia Taylor, volevo sembrare capace di fare tutto, di avere il potere. Ma non lo ero. In realtà tutte le sere non dormo, ho bisogno della fragile mano di John e degli abbracci di Micheal. Mi mancherà tutto questo.
P. M.G. 1A

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