La tradizione dei “pupi siciliani”: l’epica medievale del XIX secolo

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Ma perché una pagina di gossip è preferita ad una rivista folklorica? Le tradizioni sono parte essenziale della storia di un popolo, le faccende altrui ne sono la distruzione. Dunque continuate a leggere se lo ritenete necessario. I “pupi siciliani”, o meglio “Opera dei pupi”. Una bella storia, che nasce da molto lontano e che non vuole, non può fermarsi in un’epoca in cui, bisogna ammetterlo, non c’è spazio per la sua valorizzazione. Piace credere, però, che faranno ancora parte della memoria storica dei Siciliani. Or dunque l’Opera dei pupi è un genere teatrale in cui i protagonisti sono le “marionette”, pupazzi in legno che i “pupari” governano dall’alto attraverso dei fili. Si sviluppa ed entra in pieno vigore prima della metà dell’Ottocento e fa dell’epica medievale la sua materia principale.

Difatti il tema cavalleresco e i protagonisti, quali Carlo Magno e i suoi paladini, sono gli ingredienti principali della nuova letteratura che si sviluppò in Italia in quel periodo storico, in cui il dialetto volgare prese il sopravvento sul latino. L’Opera dei pupi, sviluppatasi in un’epoca apparentemente non adatta per gli ideali che incarnava, ebbe invece un grande successo. Così narra Henry Festing Jones, che viaggiava in Sicilia con il poeta Samuel Butler: «I Siciliani, comunque, a prescindere dall’educazione ricevuta, hanno per i racconti cavallereschi una fame che deve per forza essere saziata e, considerata la difficoltà a rispolverare passioni giovanili rimanendosene a casa a leggere Pulci e Boiardo, Tasso e Ariosto, preferiscono seguire la storia di Carlo Magno e dei paladini e delle guerre contro i Saraceni al teatro dei pupi». Il teatro dei pupi era più “saziabile” dei poemi epici di grande spessore, al contrario dell’epoca attuale in cui si preferisce valorizzare l’epica e accantonare il teatro, quel teatro che è stato simbolo di un popolo e che lo è di meno adesso. Nel 2008 l’UNESCO ha iscritto l’Opera dei pupi tra i “Patrimoni Orali e Immateriali dell’Umanità”, non un riconoscimento qualunque, visto che è stato anche il primo esempio di cultura orale ad entrare in tale lista. I cantastorie si divertivano e divertivano la gente che faceva di tutto per non mancare agli “appuntamenti”; i pupari, per quanto fossero analfabeti, conoscevano a memoria opere come la “Chanson de Roland” e “Gerusalemme Liberata”; gli spettatori si schieravano, alcuni con Orlando, altri con Rinaldo. L’opera è questa: soltanto un’immagine d’altri tempi, una rappresentazione teatrale per turisti, tanto per mantenere viva la tradizione. Ma è di tradizioni che un popolo vive; senza di esse muore; nella memoria dei giovani rinasce.

MARCO MELI III A

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