I PUPI SICILIANI: RISCOPERTA DELLA CULTURA E DELLA TRADIZIONE

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Ci troviamo a Randazzo, cittadina Siciliana della provincia di Catania che ospita una vasta collezione di pupi Siciliani composta da 37 marionette che rappresentano i personaggi della Chanson de Roland. La collezione fu realizzata tra il 1912 e il 1915 dallo scultore Emilio Musumeci e utilizzata dal puparo messinese Ninì Calabrese. Un tempo, questa collezione era collocata in una delle sale del Castello Carcere, ma adesso grazie al Distretto Taormina Etna è riuscita a trovare una sede tutta sua con la recente inaugurazione del “Museo dell’Opera dei Pupi”.
“Tutto ha origine da un episodio casuale, una semplice proposta di vendita da parte di una signora che ereditò parte di un’antica collezione di Pupi siciliani.” – ci dice il professor Salvatore Agati, ex sindaco di Randazzo.

Per chi non lo sapesse, l’ Opera dei Pupi è un tipo di teatro, caratterizzato dall’utilizzo di marionette, che si affermò nell’Italia meridionale e soprattutto in Sicilia tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. I pupi siciliani si distinguono dalle altre marionette soprattutto per la loro meccanica di manovra; infatti le marionette del Settecento venivano animate per mezzo di un’asta metallica collegata alla testa attraverso uno snodo e per mezzo di più fili, che ne consentivano i movimenti. Fu proprio in Sicilia che nell’Ottocento vennero effettuati degli accorgimenti che consentirono movimenti più rapidi adatti a rappresentare scene di combattimento e che fecero di queste marionette dei veri e propri puri. In un secondo tempo furono arricchiti con l’aggiunta di dettagli e delle armature di foggia.
È a partire dai primi dell’Ottocento, grazie ai racconti dei “cuntastorie” nelle piazze, che i pupi cominciano a riscuotere successo tra il pubblico, che ben presto li cominciò a vedere come un’incarnazione di alcuni ideali del popolo siciliano.
In Sicilia esistono due differenti tradizioni dell’Opera dei Pupi: quella palermitana e quella catanese. Le cronache riferiscono che l’iniziatore di quella catanese fu don Gaetano Crimi aprendo il suo primo teatro nel 1835. Le due tradizioni differiscono per dimensioni e peso dei pupi, per alcuni aspetti della meccanica e del sistema di manovra, ma soprattutto per una diversa concezione teatrale e dello spettacolo, che ha fatto in modo che a Catania si affermasse un repertorio cavalleresco molto più vasto di quello presente a Palermo.
Oggi l’Opera dei Pupi catanese è affidata ai fratelli Napoli, una compagnia attiva dagli inizi del Novecento che ha saputo accontentare un pubblico contemporaneo, ad esempio rinnovandone i temi e la formula del teatro, riuscendo, nonostante tutto, a mantenere viva la tradizione.
Il puparo era una figura basilare, perché oltre che dei pupi, si occupava di curare lo spettacolo, la scenografia e la sceneggiatura. Nonostante i pupari fossero molto spesso analfabeti, conoscevano a memoria opere come la Chanson de Roland, la Gerusalemme liberata e l’Orlando furioso, che erano quelle rappresentate maggiormente, e per trasmettere contenuti non ben accetti dalle autorità, si servivano di una parlata tradizionale detta “baccagghiu”.
Ogni pupo rappresentava un preciso paladino, caratterizzato dalla corazza e dal mantello; questi combattevano per la religione, per l’amore e per difendere il re e la patria. Gli spettatori solitamente usavano sostenerne uno in particolare. Tra i tanti, i più seguiti erano Orlando e Rinaldo, il primo con il mantello rosso e l’Aquila sull’elmo e il secondo con il mantello verde e il Leone sull’elmo. Pur essendo entrambi al servizio di Carlo Magno, si ritrovarono più di una volta a competere per l’amore di Angelica. Questa bellissima donna grazie alla sua bellezza conquistò tutti i paladini, Orlando e Rinaldo, addirittura persero per lei la ragione. Infatti Astolfo, altro personaggio di rilievo, aveva un compito fondamentale: recuperare il senno di Orlando che potè così intraprendere numerosi combattimenti contro gli infedeli (i musulmani di Spagna) affinché il bene e la giustizia avessero la meglio, purtroppo però a differenza del cugino Rinaldo, perderà la vita nella battaglia di Roncisvalle.
Tra gli altri pupi, tutti esposti all’interno del museo, ricordiamo: Gano di Maganza (il traditore), i Saracini, Rodomonte, Agramante, Mambrino, Marsilio, Agricane, Sacripante, Medoro, Ferraù e Peppininu, la maschera catanese del teatro dell’opera dei pupi siciliani.

Ginevra Zingali III A

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