Il tempo: lo conosco, ma non lo so spiegare

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Il tempo ha modificato l’uomo e il suo pensiero attraverso eventi storici e culturali, ma alcune emozioni sono immortali e sono riportate da autori di diversi periodi, ma ugualmente sensibili. La fugacità del tempo è un argomento che affascinò e continua ad affascinare i poeti di tutte le epoche. Sant’Agostino nelle Confessiones riguardo al tempo scrive: «Che cos’è il tempo? Chi ce ne darà una definizione breve e facile? Chi riuscirà ad afferrarne almeno col pensiero tanto da poterne parlare? Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so, se lo voglio spiegare non lo so più


E tuttavia io affermo tranquillamente di sapere che se nulla passasse non ci sarebbe un passato, e se nulla esistesse non ci sarebbe un presente e se nulla avvenisse non ci sarebbe un avvenire». Uno degli esempi più antichi dell’interesse al tema della fugacità del tempo è il carme V del poeta romano Catullo. 
In questo scrive infatti «soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux nox est perpetua una dormienda » ( La breve luce della vita è in opposizione all’interminabile notte che dobbiamo dormire… cioè la morte). Quindi Catullo pone l’accento sulla brevità della vita. Riguardo a quest’ultima considerazione Seneca scrive un’intera opera dal titolo De brevitate vitae , in cui riflette sul rapporto dell’uomo con il tempo. L’esistenza umana non è affatto breve, ma noi la rendiamo tale perché sprechiamo la maggior parte del tempo in attività inutili e viviamo nella costante aspettativa del futuro dimenticando il presente. 
Seneca polemizza contro gli occupati, uomini che vivono costantemente fuori di sé, dedicati interamente ad attività inutili e superflue che rendono vuota e breve la vita. In queste parole si trova nascosta la profonda critica di Seneca contro la società romana a lui contemporanea, ma in realtà tale messaggio resta valido anche oggi. Seneca ha sempre considerato e vissuto il tempo come segno della precarietà delle cose e questo senso della fuga del tempo percorre tutta la sua opera. L’ineluttabilità del tempo è una costante anche della poetica di Francesco Petrarca, scrive infatti «la vita fugge e non s’arresta un’ora e la morte vien dietro a gran giornate». Nota a questo proposito è inoltre l’opera di Lorenzo De Medici: Il trionfo di Bacco e Arianna, il più famoso dei canti carnevaleschi. Il canto, pieno di ebbrezza festosa, è velato da una punta di amaro per la coscienza del continuo fluire del tempo e della coscienza che non è possibile avere nessuna certezza delle cose future. Pertanto tutte le strofe si concludono con la stessa frase chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza. 
Infine il tema del tempus fugit è affrontato in maniera originale da Orazio nell’ode XI del libro delle Odi I. Egli, rivolgendosi a Leuconoè, la invita a non sprecare la vita nell’indagare il destino secondo gli astrologi, perché non ci è dato sapere . «tu ne quaesieris, scire nefas». Con la famosa callida iunctura carpe diem il poeta sottolinea la fugacità della vita ed esorta a cogliere l’attimo fuggente e a non fidarsi del domani, non per cercare facili piaceri, ma per impiegare il tempo nel giusto modo. Il carattere epicureo del carpe diem oraziano rinvia ad un piacere stabile, non proteso alla ricerca del godimento, ma portato a fare tesoro di ciò che si ha. Orazio si ispira ad Epicuro poiché questo credeva che per raggiungere la felicità fossero necessarie quattro condizioni e tra queste l’atarassia, ossia il dominio delle passioni riconoscendo se stessi e bastando a se stessi. 
È questo il messaggio di Orazio, talvolta interpretato erroneamente come un invito agli eccessi. Bisogna coltivare se stessi, imparare a non farsi influenzare da ciò che ci circonda ma sentirsi a proprio agio perché con noi stessi. 
Questo è il motivo per cui per stare bene con gli altri è prioritario stare bene con se stessi. 

Salpietro Serena IV A

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