IL DONO

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L’atto del dono: offrire a qualcuno qualcosa. Sembra facile, ma non lo è; infatti l’esatto concetto di dono è ad oggi sconosciuto e molto spesso associato a regalo, che implica il ricevere qualcosa di concreto che possa essere gradito e ben accetto. Ovviamente si associa ad eventi particolari, ad esempio una festa di compleanno, quindi si attende un’occasione, tale da suscitare questo desiderio. Entrambi i termini, donare e regalare, alludono alla sfera semantica del dare, dunque anche al prossimo; del resto il verbo dare presuppone che ci sia qualcuno al di là del significato che esprime; qualcuno è la chiave di tutto. Non è come dire qualunque cosa, perché si dona a qualcuno.

Si mostra nel far ciò una disposizione d’animo nei suoi confronti, un modo per esprimere un sentimento particolare, emozioni e quanto di più astratto e significativo vi sia al di sopra della concretezza. Per condurre questa analisi, cerchiamo di prendere in considerazione ciò a cui l’uomo tende sempre lo sguardo: il valore. Quanto vale un dono? Facile a dirsi, se parliamo di quotidianità, è infatti sufficiente osservare il valore materiale e tutto finisce; difficile a dirsi, se associamo al concetto di dono un valore superiore al denaro, cosa che comunque richiede una certa lungimiranza, propria di pochi. Ma in essi si rispecchia una divina umanità, quella che Cicerone avrebbe definito virtuosa, e dunque l’unica capace di partorire le vibrazioni più sonore. Da che cosa cominciare? Semplice, dalla nascita: essa è infatti metafora della vita, ed è senza dubbio la vita il dono più grande conferitoci dai nostri genitori che ci amano sopra ogni cosa, in quanto sentono quel dono come proprio e di incommensurabile valore, sicché sarebbe impossibile ripagare il debito e spiegherebbe il dolore di un genitore alla perdita di un figlio. La vita è infatti anche un dono di Dio dal cielo, chiunque ci creda o meno; nel caso dei non credenti la vita è comunque un miracolo gaudioso, una visione completa e perfetta del mondo, sentirsi parte dello stesso. Poi si cresce, gli anni passano, il dono si muta in una concretezza di minor valore, man mano che il tempo scorre: da piccoli si attende con ansia quello che potrebbe essere un giocattolo, dei colori, qualsiasi cosa sia oro per gli occhi, anche quando si tratta di oggetti non particolarmente importanti; ma è il nostro essere bambini che li trasfigura come divini. Si arriva dunque ad un’età in cui il concetto di dono raggiunge maggiore astrazione ed è incentrato nella ricerca di amicizia, amore, affetto da parte di qualcuno che diviene sia donatore che ricevente. Questa tipologia di dono è già molto più complessa e conosce alti e bassi, a seconda che i suddetti sentimenti siano reali o meno. Ad esempio sull’amicizia diceva Cicerone: L’amicizia non è nient’altro se non l’unione delle cose divine e umane con benevolenza e carità ( dal “De amicitia”), fatto che dovrebbe condurre ad una definizione universale che possa definire tal dono; nemmeno Platone riuscì a farlo con l’amore con l’aiuto degli uomini più illustri delle differenti discipline, ma ammettendo pure che sia così, tutte le amicizie dovrebbero basarsi su questa legge, invece c’è chi riceve, conferisce e sfrutta il dono in maniera impropria secondo il libero arbitrio. Ciò si dimostra veritiero anche in altri doni astratti, il cui valore si riflette nel modo in cui ciascuno decide di avvalersene. C’è da dire che il dono in generale è dotato di una certa flessibilità e pertanto ne conseguirebbe un cambiamento da parte del donatore, il cui comportamento, oltre che per età, può anche essere orchestrato dal ricevente, specie se è qualcuno superiore agli altri per qualsiasi ragione, basti pensare ai Magi, coloro che diedero a Gesù tre grandi doni degni di un vero re: oro, incenso e mirra (Ravenna, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, 600). Si può dedurre che non c’è una norma ben precisa che regoli l’atto del dono, più che altro è la consuetudine ad entrare in gioco, insieme al nostro io interiore, che è più o meno influenzabile da fattori interni ed esterni. Ciò detto, l’astratto prevale sul concreto e nulla può vincere l’imprevedibilità del donatore e del dono stesso; se così non fosse, allora ne deriverebbe anche uno svantaggio umano enorme, che diminuisce la nostra vitalità nella gioia del vedere chi o che cosa come dono, nel dolore qualora ciò non avvenga o non si comprenda il dono; del resto Socrate affermava che la massima euforia e la massima tristezza non esistono, perciò non è il caso di agire o comportarsi da sconsiderati in ambo le situazioni, ma di sapersi atteggiare e cogliere l’attimo come tale e dunque come Eraclito panta rei.

Salvatore Sangani III A

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