IL TEMPO E’ IL NOSTRO TIRANNO!

Unknown
Come mai le cose belle durano un istante e gli orrori che in secoli e secoli di storia sono avvenuti sembrano non finire mai? Bastì pensare all’infanzia, quel periodo in cui ogni uomo vive felice, in cui fa le prime esperienze, e muove i primi passi che, seppure piccoli, rendono il bambino grande. Ma se così fosse perché non possiamo gestire il nostro tempo come vogliamo? L’espressione carpe diem deriva dal latino, significa cogliere l’attimo che fugge ed esorta l’uomo a non pensare al domani, a non voler conoscere il futuro perché tutto ciò crea incertezza. Lorenzo de’ Medici, signore di Firenze e poeta italiano del Quattrocento, scrisse nel 1490 Il trionfo di Bacco, nel quale trionfa il più tipico tema laurenziano, del tempo che fugge e dell’invito a godere il presente. La fugacità del tempo, la brevità della vita, il cogliere l’attimo: un tema classico ma quanto mai odierno. Dove trovare la felicità se non nell’attimo che fugge oggi come oggi, in un futuro che più incerto di così non si può? In un futuro ricco di perché, di dubbi, di paure? Non c’è un giorno che non leggiamo: milioni di giovani sul ciglio di una strada, incidenti mortali del sabato sera.

Per quanto l’uomo possa sforzarsi di evitare tutto ciò, mette a rischio la propria vita, la morte è inevitabile e occorre abbandonare persone e cose che sono a noi care. La vita umana si svolge in un arco di tempo assai limitato e perciò è nel presente, nell’attimo che fugge, che occorre cercare la felicità, piuttosto che attenderla in un futuro, più o meno lontano, di cui non si ha certezza alcuna. «I giorni possono tramontare e poi risorgere; per noi, caduta questa breve luce, c’è una sola notte eterna da dormire. Dammi mille baci, e poi cento…» questo è ciò che dice Catulllo. L’incipit di questo carme è celeberrimo. E’ l’invito rivolto a Lesbia affinché ella si abbandoni all’amore e all’estasi. Non si tratta solo di un carme d’amore, ma è anche il pretesto di riflessione sulla fragilità e la brevità della vita umana per l’ineluttabile incombere della morte. Il sentimento di precarietà è messo in particolare evidenza dal contrasto con una natura che ha invece la possibilità di rinnovarsi in eterno. Invece l’originalità del testo di Lorenzo de’ Medici è la vivacità popolare con cui riesce ad esprimere questo amaro concetto. Tutto il componimento è caratterizzato da una forza gioiosa, velata pacatamente da un sentimento di malinconia, dettato dall’incertezza del domani e dal fuggire del tempo. Solo la festa e la gioia dell’amore e dell’ebbrezza permettono di dimenticare questi tristi aspetti della vita. Inoltre anche per Orazio è meglio vivere l’attimo piuttosto che interrogarsi inutilmente sul destino che ci attende ed è ciò che presenta nel suo componimento, l’undicesimo del primo libro delle Odi che è uno dei più celebri dell’intera letteratura latina. Esso si presenta come un breve, ma profondo avvertimento del poeta alla fanciulla Leuconoe sulla natura della vita secondo i precetti della morale epicurea e della teoria del piacere. Dunque il consiglio di Orazio è quello di abbandonare le illusioni e di prestare attenzione a staccare un attimo dell’eterno fluire del tempo. Nella consapevolezza della brevità della vita, l’attenzione dell’ uomo classico è soprattutto rivolta al presente. Il messaggio è dunque quello di godere delle poche gioie dell’ oggi accontentandosi di ciò che si possiede, tanto più che la dimensione ultraterrena si prospetta tetra, inconsistente o incerta. La giovinezza spensierata e l’ amore fisico sono gli unici valori sicuri e positivi , quelli su cui fare affidamento per una seppure illusoria ed effimera felicità.
Russo Giorgia IV A

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