Quantu eve bedda ‘sta Sicilia ri pupi

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Il tacco d’Italia, l’isola più grande del Mediterraneo, l’antico porto e granaio romano, il luogo di coesitenza culturale ampia e varia: questa è la nostra Sicilia! Essere fieri del proprio territorio, saperlo apprezzare ed amare sono le sfide più ardue per gli uomini, giacché essi credono che sia l’erba del vicino ad essere sempre più verde, non rendendosi conto della pingue ricchezza da essi posseduta. Il nostro tendere ad ammirare quanto altri popoli hanno fatto ci rende blandi e sciocchi, cossiché ci occorre qualcuno o qualcosa in grado di aprire i nostri occhi e far sì che essi rimangano sempre tali. La condizione dei siciliani ci porta ad identificarli come una comunità separata dal resto d’Italia e in situazione di estremo stallo economico-culturale; ma a che cosa serve del resto la cultura? A nulla, o almeno questo è il pensiero di chi cerca di sopprimerla con ogni mezzo moderno , e non è necessario specificare ulteriormente, poichè ognuno sà di esser divenuto schiavo della tecnologia e di essere sul punto di perdere ciò che alle volte si è tentati a non considerare.

Tralasciando la cultura generale, sembra che quella siciliana sia poco trattata nelle scuole di questa stessa regione, analogia che si ha con ogni altra d’Italia. Eppure si dovrebbe essere fieri del fatto che sia stata un’isola dall’elevata importanza in tutte le epoche storiche, specialmente nel medioevo, che costituì un importante passaggio della storia umana, contrariarmente alla comune e banale concezione di età buia; ci sono state sicuramente ere migliori, ma bisognerebbe evitare di essere troppo prevenuti, ciò è infatti tipico di tutti e solitamente in qualsiasi situazione. Gli studenti italiani continuano a studiare letteratura ed epica medievale di altri paesi; non conoscono nulla del loro e non è poi così improbabile che non si convincano dell’inesistenza culturale nelle loro rispettive regioni. Ora si cercherà pertanto di dimostrare il contrario e lo si farà proprio con la Sicilia, forse una delle terre più sbeffeggiate. Tra i capolavori edilizi e l’estremo ingegno dei popoli dominatori,fautori di una evoluzione delle popolazioni siciliane indigene e primitive, si potrebbe pensare che la bellezza storica di questa regione sia gravida di storia straniera; lo è effettivamente, ma non del tutto, e ciò si rispecchia in una delle attrazioni tipicamente siciliane, ossia il teatro dei pupi, che è stato considerato dal 2001 un bene immateriale umano. Soprvvive ancor oggi, pur essendo, a dire di alcuni, nato nella prima metà dell’Ottocento, ai tempi di Socrate e Senofonte secondo il parere di altri; peraltro esso sarebbe probabilmente una metafora della maestria siracusana antica. Sembra che i temi trattati riguardino personaggi medievali di alto stampo, tratti dalla Chanson de Roland e da alcuni poemi epico-cavallereschi italiani. In breve tempo si è inserito nella quotidianetà siciliana e ha assunto un’importanza fondamentale con tecniche innovative e popolari contribuenti ad aumentare il suo realismo e la sua maestosità: materiali finemente lavorati e consuetudini odierne, per esempio il battersi per “la più invisibile delle battaglie” , sostenuta anche da noi, ma non esplicitamente, perché gli ideali non sono cosa cose comune e oguno ha i propri. La popolarità dei pupi ha fatto sì che anche Pirandello ne venisse attratto così tanto, da collegarli con un’antropologia teocratica in cui l’uomo è guidato da Dio. Importante dunque questa analogia con il periodo medievale, basato su un forte teocentrismo nel quale l’Altissimo è il sommo storico , sapiente di lettere e scienza e onnipotente in qualsiasi disciplina umana. Dei pupi si evidenzia poi l’estrema cura con cui sono realizzate le armature: ogni singolo pezzo è altamente maneggevole e medievale, inoltre all’originalità dei pupi si viene a notare l’utilizzo del dialetto locale per aumentarne la padronanza(“u paracozzu”, ossia il paracollo, parte posteriore dell’elmo con il compito di proteggere la nuca).
L’opera sarebbe il seguito del racconto orale dei cantastorie o della danze delle spade, combattimento rappresentante riti di fertilità. Al centro di tutto vi è il “cuntista”, cioè colui che racconta e che ha una profonda conoscenza del ciclo carolingio, che ha contribuito alla forma ciclica dei pupi; poi il puparo che interrompe il racconto suddividendolo in varie parti più piccole. Ovviamente non mancano i costumisti, i pittori e altri, ma l’operante è egregiamente amato e si prende il merito. Purtroppo le forme teatrali decadono con il progresso ed è per questo motivo che oggi stesso il teatro in generale è in crisi; per i popolani l’opera dei pupi è da dimenticare, perchè rappresenterebbe il ritorno di periodi, per così dire, preistorici; ciò non è del tutto nuovo, in quanto anche per la letteratura medievale si ha oggi un senso di noia o anche di incapacità o arretratezza, il che si rispecchia nel disinteresse da parte di alcuni nel Medioevo o quello che cerca di riportare in vita tale epoca. Si crede poi che dietro ad un’opera ben realizzata ci sia un ottimo compenso, ma non è sempre così; avere una famiglia in quei tempi era difficile e perfino i beni primari erano scarsi , però essa garantiva un’eccellente collaborazione, che si rifletteva in un buon risultato. Ecco perché il territorio occidentale siciliano si proccupava molto del nucleo familiare e vantava un incredibile successo e vitalità, espressa con delle tecniche più lontane dalle semplici marionette. Le storie raccontate non si discostano poi così tanto dall’epica medievale, perché i paladini combattono per altissimi valori cristiani, amorosi e onorevoli. Si sentono dunque dei versi delle Chansons de Geste nell’aria, così come si intravede la traccia di una forma teatrale stereotipata, ossia con attori senza maschere e che si condondono con i personaggi. Il contatto con il pubblico è dunque semplice, ma efficace e immediato; per giunta anche il nord della Franica ha svluppato una forma teatrale affine con delle marionette rozze, perfezionate successivamente.Tra coloro che si occupano di questa tradizione , non si possono non citare i Fratelli Napoli, ben lontani dal ritenere la loro passione un semplice svago o un dovere familiare, infatti volontà, linguaggio articolato, lavoro di musicisti, artisti, tecnici e altri li classificano protagonisti di un patrimonio culturale insigne.
Dopo aver visto quanta grande importanza ha assunto il teatro dei pupi, ci si dovrebbe chiedere se sia lecito alla tecnologia cancellare il nostro Medioevo ; sì, potrebbe esserlo, ma non è detto che tutti lo vogliano di buon cuore, se si considera il permanere di una minoranza a favore della conservazione della Sicilia pupara, minoranza che vede nei suoi componenti anche la possibilità che nelle scuole sia affidato ai bambini il cruciale compito di rappresentare l’essenza sicilana. Del resto non c’è da stupirsi della scomparsa di qualsiasi cosa senza un’adeguata diffusione, senza il seminare di ciò che si ama , senza il fare nulla. Cautela ovviamente nell’opporsi alla tecnologia, ma la coesistenza di un’età “buia” si potrebbe sposare perfettamente con essa; si dovrebbe imparare a combattere per la propria identità, e non a caso l’epica medievale ci ha tramandato attreverso i pupi il senso della ribellione e della lotta, valori che sono stati rappresentati con semplicità e perizia, con villaneria e regalità, ma soprattutto con una bora medievale.

Salvatore Sangani III A

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