Oggi e ieri: il dono di saper donare

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«Voi donate ben poco quando date ciò che possedete. È quando donate voi stessi, che date veramente (…) Ci sono quelli che danno poco del molto che hanno e lo danno per averne riconoscenza, e questo desiderio nascosto rende corrotto il loro dono. E ci sono quelli che possiedono poco e lo donano tutto. Sono coloro che hanno fede nella vita e nella sua generosità, e il loro forziere non è mai vuoto. Ci sono quelli che danno con gioia, e la gioia è la loro ricompensa. E ci sono quelli che danno con pena, e la pena è il loro battesimo. E ci sono quelli che danno senza provare né rimpianto, né gioia. Essi donano in modo simile al mirto, che laggiù nella valle sprigiona la sua fragranza nell’aria. (…) Tutto ciò che avete un giorno sarà ceduto; perciò date adesso, affinché la stagione del donare possa essere vostra e non dei vostri eredi. Spesso dite: vorrei dare, ma solo ai meritevoli. Gli alberi del vostro frutteto non esprimono questo, né il gregge del vostro pascolo.

Essi donano per vivere, perché trattenere è perire. (…) E voi che ricevete – e tutti ricevete – non permettete che il peso della gratitudine, imponga un vincolo tra voi stessi e chi vi ha donato. Poiché preoccuparsi del proprio debito, è dubitare della sua generosità che ha per madre la fertile Terra, e per padre Dio». Con queste parole, riportate da Il Profeta del 1991, Khalil Gibran, poeta e filosofo libanese, catturò e cattura, le coscienze di tanti uomini. Perché la tematica del dono è una tra le più presenti nel grande cantiere della ricerca e della riflessione contemporanea. In molti hanno cercato di comprendere ed interpretare l’ homo donator, l’uomo che fa dono; Marcel Mauss, in particolare, risultò decisivo nell’elaborazione delle teorie sul dono, con il suo Essai sur le don del 1923. Ma che cos’ è il dono? E soprattutto, quale valore ha il dono nell’ odierna realtà quotidiana? Le parole di Khalil Gibran sanno di condanna/protesta nei confronti di una società dominata dal mercato, segnata da un accentuato individualismo, dove l’arte del donare fa a spallate per farvi parte, ma soprattutto fa fatica ad essere considerata come vero atto di umanizzazione. Molto spesso il significato del dono finisce per essere stravolto, trasformato in strumento di pressione sul destinatario, strumento di controllo, prigione della sua libertà. Gli umani sono avvertiti: il dono può essere rifiutato con atteggiamenti di violenza o nell’indifferenza distratta; può essere ricevuto senza destare gratitudine; può essere sperperato. Nel dare, ricevere e ricambiare (principio della reciprocità di Mauss) l’uomo sceglie, secondo propria coscienza, di riconoscere la communitas in cui vive, basata sullo scambio di doni (cum-munus); nel rifiuto dell’altro sceglie, invece, l’ immunitas, una chiusura assoluta. Tale differenza crea un’ abissale paura in Khalil Gibran, la paura che ormai l’atto del dono sia strumentalizzato, contaminato dal difetto umano. Il dono oggi, il dono ieri. Pensare che donare sia facile è utopia: come ai tempi di internet, anche in epoche passate il dono è stato una questione di difficile intepretazione, ma soprattutto di ostica realizzazione. Donare se stessi è l’azione più virtuosa che l’uomo possa compiere, e la virtù appartiene a pochi. In pochi, infatti, hanno sentito, e sentono, il desiderio di donare qualcosa di proprio; in pochissimi hanno trasfigurato tale desiderio in vero e proprio bisogno. Lo fece Dio, e forse questo viene trascurato troppo spesso: «Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi, è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinché nessuno se ne vanti» (Efesini 2:8,9). Se c’è un dono che può essere considerato più grande degli altri è quello che fece Dio, concedendo agli uomini la vita eterna tramite Cristo Gesù che diede la propria vita sulla croce, pur di portare a compimento il progetto divino. Ed è in Gesù che si riscontra una delle peculiarità più importanti del dono, ovvero la gratuità: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori» (Vangelo di Marco 2:17). I doni, in quanto tali, non si ricevono per meriti, e così è in Cristo: chiunque può scegliere la salvezza in dono, poiché non si ha per opere, ma per grazia. Ma il tema del dono trova riscontro anche in ambito artistico, e in due opere dalle quali traspaiono due diversi modi di interpretazione e adempimento del dono stesso, ovvero Antioco e Stratonice (1774) di Jacques-Louis David ed Elemosina del mantello (1295-1299) di Giotto. Nel primo dipinto viene raffigurato uno dei momenti più significativi della travagliata vicenda di Antioco I, innamorato della moglie del padre Seleuco, re di Siria, ovvero Stratonice. L’amore impossibile tastato dal giovane innamorato fu motivo di grande sconforto e depressione, che tramutarono in vera e propria malattia. Ma fu la rivelazione di questo amore a scatenare in Seleuco il sentimento più forte che lo legava al figlio, a convincerlo a donargli la propria donna. Un semplice gesto, un dono che pose fine alla sofferenza e al dolore del figlio, e in cosa consiste se non in questo l’atto del dono: la concessione della felicità, a discapito dei propri interessi. Nel secondo dipinto viene, invece, raffigurata la scena di Francesco che dona il mantello a un povero: quando il beato Francesco si incontrò con un cavaliere, nobile ma povero e malvestito, dalla cui indigenza mosso a compassione per affettuosa pietà, quello subito spogliatosi, rivestì. Il dono del mantello di Francesco al cavaliere è già un primo passo del venturo santo verso una totale devozione a Dio; egli si spoglia, in senso allegorico, della sua materialità e abbraccia la causa religiosa. In tal senso può e deve essere interpretato il dono: un gesto privo di qualsiasi speculazione, che venga dal profondo del cuore. Da sempre, dunque, il tema del dono ha interessato artisti, poeti, filosofi, musicisti, e non solo. Attraverso l’arte, le lettere, la musica, lo spettacolo l’uomo ha cercato di dare una propria interpretazione all’atto del dono e di diffonderlo affinché fosse un’essenziale legge di vita. Perché donare è condivisione, gentilezza, rispetto, buon esempio; donare è carità: «We are the world, we are the children. We are the ones who make a brighter day. So lets start giving» (Michael Jackson).
Marco Meli III A

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