Morire d’amore

cristiano saitta

 

Era inverno, nella città di Venezia regnava il silenzio, i canali e le    piazze nei cupi pomeriggi  di gennaio  erano quasi  deserti  e lì, in  mezzo a quel silenzio, in un  vicolo, sopra un ponte si trovava un  vecchio che  affacciato al parapetto guardava  l’acqua torbida del  canale e con un’aria malinconica ripeteva : «Sono stato io». Le  poche persone che passavano si chiedevano se quel vecchio fosse  matto, ma un’anziana signora  si fermò e riconobbe in lui il conte  Augusto Pietrafitta. L’uomo era famoso alla cronaca locale di alcuni  anni prima;  proveniva da una nobile famiglia, ormai decaduta,  abitava in un palazzo, nei presso del Canal Grande, dove  era stata  assassinata una  giovane cameriera e lui era stato accusato del  macabro omicidio.

Dopo una lunga causa e molti soldi sperperati qua e là tra  vari avvocati giudici e poliziotti, il conte era stato scarcerato, perché estraneo a quanto accaduto; ce l’aveva fatta! Ma può la coscienza di chi ha commesso, lucidamente, un crimine scordare tutto? Augusto Pietrafitta non aveva dimenticato … e non solo lui. Wanda, questo il nome della giovane cameriera, era alta bella e soprattutto fiera, aveva tanta voglia di lavorare e anche di vivere, aveva accettato quell’umile lavoro felicemente, ignara che quella casa sarebbe diventata la sua tomba. Il conte  dal primo momento che la vide se ne innamorò, ma la giovane cameriera non condivideva l’amore che il conte   aveva per lei tanto che in un’occasione, dopo un litigio tra lei e il conte, per sfuggire agli abbracci  di quest’ultimo, era arrivata a colpirlo alla testa violentemente. Il conte non si dava per vinto e iniziò anche a seguirla per il palazzo, fece dei buchi nella parete della stanza accanto a quella della cameriera, per osservarla.  L’ossessione del conte era sempre più forte, tanto che non riusciva a pensare ad altro e, una notte mentre la  osservava scoprì che questa,  faceva entrare nel  palazzo, da un ingresso secondario, un uomo, celato sotto un cappello a falde larghe, e con il quale aveva una relazione. Ogni notte si ripeteva la stessa scena, il conte era lì nascosto a spiare, immobile e adirato, la passione dell’uomo e della donna che consumavano il loro amore, ignari di essere osservati. Il conte tempestava di  domande la povera cameriera e la minacciava  dicendole che non doveva  preferire nessun altro a lui. La cameriera spaventata dal conte rispondeva sempre di non avere nessuno  e che non aveva tempo per una relazione poiché doveva badare al palazzo e ai suoi abitanti. Il conte, innervosito dalle bugie della donna, di notte, quando questa stava per aprire all’amato si celò dietro ad una tenda per uccidere i due; e quando era quasi in procinto di ucciderli  ascoltò le  parole provenienti dalla bocca della donna:«Mio caro, non possiamo più vederci, il mio padrone sospetta qualcosa e non posso rischiare di perdere il lavoro, tantomeno di essere accusata», e con queste parole rivolte all’amato gli diede una carezza, gli aprì la porta e lo mandò via; fatto questo Wanda corse piangendo verso la sua stanza e si rinchiuse lì per tutta la notte. Soprafatto dall’ emozione il conte decise di non uccidere la donna e di chiedere  perdono a Dio per ciò che stava per fare . Dopo alcuni giorni, mentre la giovane Wanda serviva il pranzo, notò in lei una strana felicità e gliene chiese il motivo; lei rispose con un sorriso e confidò al conte di avere avuto una relazione con un uomo e che ora aspettava un bambino. La sua condizione le aveva dato il coraggio di svelare il  segreto . Il conte si alzò, fece i suoi migliori auguri alla donna che, stupefatta dalla reazione positiva,  decise di chiedergli se poteva  andarsene per qualche tempo e di ritornare dopo aver avuto il bambino. Alla richiesta della donna il conte rispose di sì e uscito  dalla sala da pranzo  si  ritirò nel suo studio  per  il resto della giornata. Dopo la mezzanotte  si alzò dal suo letto per andare dalla cameriera, per svegliarla e dirle che l’amava e di restare insieme a lui ma, appena vicino alla stanza della donna, sentì dei rumori provenire dal piano di sotto,  scese e si avvicinò all’entrata secondaria del palazzo, dove sentì bussare alla porta aprì e vide un uomo che gli confessò il rapporto tra lui e la cameriera e di essere venuto a prenderla per portarla via e sposarla. Alla richiesta dell’uomo il conte rispose che la donna era fuggita e che non l’aveva vista né aveva notizie di lei. L’uomo pensieroso se ne andò. Il conte sopraffatto dalla gelosia fu preso dall’ira  omicida , dopo aver chiuso la porta  prese un coltello dalla cucina, salì in punta di piedi nella stanza della donna e, come un abile scassinatore, aprì la porta con un semplice gesto ed entrato nella stanza si fermò immobile davanti al letto di questa, per osservarla un’ultima volta mentre respirava. Stretto in mano il coltello si lanciò sulla donna con efferatezza e mentre la donna si contorceva lui continuava a colpire.  Augusto aspettò l’ultimo respiro di Wanda,  scese dal letto per nascondere il cadavere ma si fermò quando la mano di questa gli sfiorò il viso, ripose il cadavere sul letto , si mise in un angolo della stanza seduto a piangere per ciò che aveva fatto e per la brutalità in cui aveva ucciso  la donna che amava. Preso dal rimorso avrebbe voluto togliersi la vita, ma il suo orgoglio ferito non glielo aveva permesso.

Doveva fare il possibile per non essere accusato dell’orribile gesto. Mise in atto un piano per depistare gli inquirenti.

Si vestì di corsa,  indossò  il cappotto, nascose abilmente l’arma usata per uccidere, tolse cautamente le sue impronte da ogni cosa che era presente nella camera della poverina  ed uscì di casa. Vi fece rientro solo alle prime luci dell’alba, aveva passato qualche ora in un pub, per farsi vedere e quindi crearsi un alibi. Di lì a poco avrebbe chiamato la polizia, dicendo che al suo ritorno si era insospettito, vedendo la luce della camera di Wanda accesa e la porta della stanza aperta, nonostante fosse ancora molto presto.

I giorni successivi furono tremendi: interrogatori, sospetti, accuse ma dell’omicida nessuna traccia,  anzi sicuramente  si pensava che fosse stata la stessa Wanda ad aprire al suo carnefice dal momento che non c’era segno di forzatura alcuna. Come prevedibile Augusto fu il primo tra gli indagati e dovette difendersi:  una schiera tra i migliori avvocati fu pagata dal nobile per evitargli le accuse, non fu evitato in nessun modo che venisse infangato il nome della poverina, attribuendole pessime amicizie. L’autopsia sul corpo di  Wanda, aiutò molto  l’assassino. Gli avvocati misero in piedi una difesa fondata sul fatto che ad uccidere Wanda fosse stato il padre del bambino che aspettava e che l’analisi del DNA non era riconducibile  al conte. I sospetti degli inquirenti quindi si mossero in altre direzioni. Augusto, anche se nella lista degli indagati, non era l’unico ad essere sospettato, si cercava l’omicida in altre direzioni. Le indagini non portavano da nessuna parte e gli inquirenti decisero di archiviare il caso. Il conte fu prosciolto da ogni accusa e fu lasciato al suo destino.

Augusto viveva in preda ai peggiori incubi, aveva amato ossessivamente quella donna, fino al punto di ucciderla ed ora lui non viveva più.

Trascorreva le sue giornate a guardare il Canal Grande, forse sperava che la corrente lo prendesse  e lo  trascinasse via … ma non fu così. Spesso avrebbe voluto che lo avessero condannato, almeno il carcere lo avrebbe aiutato ad espiare la colpa. Invecchiava male, beveva, aveva allontanato i suoi parenti, gli amici quasi a fargli capire che non era innocente e che in effetti anche lui, quella notte, aveva cessato di vivere. Passarono i giorni, i mesi e gli anni, ma il conte Augusto Pietrafitta era ancora lì ad aspettare la morte che sentiva di meritare. Ed è qui che l’anziana signora lo riconosce e con grazia si avvicina , lo accarezza come se fosse un cane e lo invita, in un gesto di compassione , a casa sua; dapprima il conte si rifiuta poi senza sapere il perché accetta l’invito. Dopo pochi passi nei vari vicoli i due arrivarono nella casa  dove la signora gli presentò il marito, erano i coniugi De Gigli, i due signori  iniziarono a parlare mentre la donna prepara loro la cena e, dopo una piacevole serata, decise di ritirarsi nella sua casa. Passarono i giorni ed il vecchio conte continuava a domandarsi chi fossero quei due però  non vide più né la signora, né il marito di questa. Augusto si era ormai dimenticato di quello strano incontrò, ma non riusciva a togliersi dalla testa il suo assillante pensiero. In  una fredda notte d’inverno,  nella città più bella del mondo, un uomo camminava solo, triste, stanco alla ricerca di non sa che cosa,   una mano lo afferrò per la gola e lo trascinò in uno dei famosi vicoli veneziani  e lo strinse forte sempre più forte fino a quando lo vide cadere esanime ai sui piedi, gli occhi spalancati, ma con la bocca che accennava ad un sorriso di ringraziamento. A stringerlo, fino a soffocarlo era  stata la mano  di un uomo che non aveva avuto la possibilità di stringere la mano ad un bambino; il suo  che non era mai nato. Il corpo sparì e nessuno si chiese dove fosse finito il conte Augusto Pietrafitta e, come anni prima non si seppe nulla dell’assassino della giovane Wanda, così il misterioso assassino  del conte Augusto sparì insieme a lui come se portati via dalla corrente.

Cristiano Saitta  II A

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.