L’ARTE APRE IL CUORE DEGLI UOMINI. LA RICCHEZZA E’IL SORRISO CHE DONI AL PROSSIMO

andrea pappalardo

Sulle colline innevate della campagna italiana, all’alba risuonava la  campana  che annunciava il trentuno dicembre.

Sin dal primo mattino, i comignoli delle case del villaggio avevano  cominciato a sciogliere la neve, mentre il fuoco dei caminetti   riscaldava allegramente la cena dell’ultimo dell’anno.

Lassù, nella casa più lontana e povera, nascosta dal grande ulivo,  ammantato di neve, c’era una famiglia per la quale quel giorno si era affacciato con un sorriso ancora più pieno di speranza: si attendeva infatti la nascita di due gemellini.

C’era freddo quel giorno, e dalla finestra rotta entravano gelidi spifferi e cristalli di neve soffiati dalla bufera. Il futuro padre, curvo davanti al camino spento e con la barba ruvida che scavava le rughe del suo viso, cercò il cappotto pieno di toppe nell’armadio, quando si ricordò di averlo appoggiato sul letto a coprire la moglie che batteva i denti, si strinse nelle maniche della vecchia camicia e uscì a cercare legna nel bosco. Era ancora fuori quando arrivò l’ora del parto e, forse per  pietà del cielo, all’improvviso un enorme stormo di colombe bianche cominciò a svolazzare sopra il tetto. Il cielo si aprì e un raggio di sole scese sino alla finestra a riscaldare il letto gelido, proprio mentre i due bambini vedevano la loro prima luce.

Fuori, sui prati innevati regnava il silenzio e per la valle si sentivano solo i battiti d’ali delle colombe; il vecchio esausto padre, tornava a casa con la fascina di legni umidi che era riuscito a scovare sotto la neve. Ad un tratto, il silenzio fu rotto da grida di commozione e di contentezza. La moglie pose un paffuto neonato sulle braccia del marito e lì provò un’intensa sensazione di orgoglio. Dalla seggiola accanto al letto, la vicina di casa teneva sulle gambe l’altro piccino; il padre, con affetto, si avvicinò e fece per prenderlo in braccio, quando un tuono fragorosissimo si scaraventò sulla casetta, mettendogli paura e facendolo allontanare. Quell’evento straordinario gli mise uno strano turbamento per parecchi giorni, ma la felicità di essere divenuto padre gli fece scordare  quanto accaduto.

Il suo modesto lavoro non gli consentiva di mantenere la famiglia nella sicurezza e nell’agiatezza. I falegnami non avevano mai avuto tanta fortuna nella valle, dove tutti sapevano usare l’ascia, ed erano in grado di costruire un tavolo e una sedia. Un tempo, l’uomo aveva imparato a intagliare bellissime casette di legno per gli uccelli, e tutti nella valle avevano comperato le sue casette e le avevano poste nell’albero che faceva ombra nei loro cortili. Così gli usignoli andavano tutte le primavere a cantare e la valle si riempiva di una melodia meravigliosa. Poi venne un inverno freddissimo e il vento soffiò nella valle, turbinando sugli alberi e i camini; da allora gli usignoli non erano più venuti a cantare nella valle e nessuno sentì più il bisogno di comperare le belle casette di legno per gli uccelli. Il povero falegname rimase solo nella sua bottega e nessuno andò più a trovarlo, se non per piccoli lavoretti. Così da un po’ di tempo non sempre gli riusciva di assicurare alla famiglia tre pasti al giorno.

La madre dei piccoli si chiamava Matilde, e come la maggior parte delle donne di quel tempo non lavorava; le sue giornate erano però faticose quasi più di quelle del marito, perché si dava da fare per rendere dignitosa la sua povera casa: lavava i panni, rattoppava i buchi dei vestiti, curava le galline, sperando che ogni tanto la ricambiassero con un prezioso uovo, andava per i prati a cercare le verdure per la cena, lavava le stoviglie. Ogni tanto, qualche vicina che provava  umana comprensione per lei, veniva a trovarla e le chiedeva un lavoretto, un rammendo, un ricamo. In cambio le regalava un pezzo di formaggio, o un salame, che la donna conservava nella dispensa come il più prezioso dei tesori.

Da quando erano nati i bambini, le sue giornate si erano riempite di mille attività: bisognava farli mangiare, lavarli, giocare con loro  ed educarli. I due bambini, Ruggero e Guglielmo, crescevano  con tutte le attenzioni e il  massimo della cura, nonostante la povertà della famiglia. I bambini intanto cominciavano a prendere confidenza con l’ambiente in cui vivevano. I loro giochi erano poveri: peluche cuciti dalla madre, bambolotti di legno intagliati dal padre, le pigne e i rametti che trovavano nel giardinetto fuori casa. A volte giocavano ad aiutare la madre e facevano disastri nella cucina ponendo le pentole sul pavimento e riempiendole di fiori che crescevano nel prato. Quando si mettevano in testa di fare le pulizie erano guai: sporcavano i piatti, i bicchieri, le posate, perché dicevano che per potere pulire era necessario che tutto fosse sporco. Allora la madre si disperava e li sgridava; ma poi li prendeva in braccio e li baciava, perché li amava tanto e si inteneriva che i suoi figlioli cercassero di alleviare le sue fatiche seppure in modo maldestro. Col passare del tempo, i due fratelli cominciarono a diventare più saggi e responsabili e come i ragazzi della loro età cominciarono ad uscire per strada e ad osservare con curiosità  tutte le cose e le persone nelle quali si imbattevano. Cominciarono a conoscere tutti i sentieri della valle, e a frequentare tutte le botteghe in cui lavoravano i loro abitanti. Osservavano gli sconosciuti svolgere le loro professioni: fu così che i due bambini cominciarono a farsi la fatidica domanda  che si pongono tutti i bambini quando cominciano a crescere: che lavoro fare da grande? La vita però non girava solo sulle domande, ma anche sui fatti. L’esistenza richiede anche errori e i due fratelli  ne fecero non pochi.

Era una mattina come tante altre ma quello che successe quel giorno rimase impresso persino nella memoria dei muri.

Era la prima giornata fredda dell’anno e la povera famiglia non aveva quel giorno nulla con cui preparare un cibo caldo; non c’erano nemmeno coperte abbastanza calde e stufe capaci di riscaldare la vecchia casa. I ragazzi non erano grandi abbastanza per resistere  al gelo che avvolgeva tutta la valle e penetrava nelle ossa come un coltello affilato; ingegnosi, come tutti i loro coetanei, riuscirono a concepire un  piano per trovare calore che, purtroppo, alla fine si rivelerà disastroso. Erano circa le tre del pomeriggio e i fratelli, ovviamente di nascosto, uscirono di casa. Avevano spesso ascoltato i genitori parlare delle meraviglie che si trovavano nel mercato, e avevano da tempo la voglia di andare a curiosare. Saltando da una bancarella all’altra, arrivarono al centro del mercato, dove trovarono le invenzioni nuovissime del tempo che i mercanti forestieri portavano nella valle. Una bancarella li attirò in modo particolare.  Esibiva una moltitudine di oggetti riposti in un ordine perfetto. Non sapevano quale fosse la funzione di molti di  quegli stranissimi oggetti  ma l’istinto, sì l’istinto, li condusse a posare gli occhi su due arnesi in particolare:  uno era un recipiente di rame, con dentro della brace spenta, l’altro era una strana bottiglia morbida, forse di gomma, rivestita di un’allegra stoffa a quadri  e con uno strano boccaglio. Quegli oggetti esercitarono sui due bambini una specie di incantesimo. Se ne stavano lì impalati, senza parlare, senza distogliere lo sguardo. A furia di guardare fisso, il rame del recipiente era diventato un’abbagliante luce gialla che sembrava propagarsi come una rossa e calda fiamma. Avevano  le allucinazioni? O era il gelido mattino che era causa di un miraggio?

I fratelli non sapevano come funzionasse un mercato, queste “usanze”erano lontane dal loro mondo infantile. Del resto la povertà della loro famiglia non li aveva abituati agli acquisti. Dunque, istintivamente, afferrarono gli oggetti su cui avevano messo gli occhi e scapparono via. Rincorsi dal mercante, cominciarono a correre sempre più velocemente, ma non perché erano consapevoli del furto che stavano compiendo, ma per  puro spasso e divertimento, come se fosse  un gioco. La corsa durò a lungo, visto che i due erano giovani e instancabili, e tutti gli abitanti del villaggio cominciarono ad assistere divertiti alla scena. Più i bambini si divertivano  e ridevano più il commerciante si infuriava e ruggiva. Anche se giovani e pieni di energia, Ruggero e Guglielmo si stavano stancando e, non volendo far vincere  il grasso mercante in quello che per loro era un gioco, si infilarono in un vicolo e riuscirono a nascondersi in una vecchia catapecchia. Giunto anch’egli in prossimità del vicolo, il mercante, ormai esausto e col fiatone, ebbe un sussulto, si fermò e si picchiò con forza la fronte. Che stupido era stato ad aver lasciato tutta la sua mercanzia incustodita nel banco del mercato! Riprese a correre in senso inverso  e tornò alla bancarella, lasciando andare i fratelli con il bottino di una borsa da acqua calda e un braciere. Accortisi che la strada era ormai libera, i due bambini, felici di aver vinto la sfida, uscirono trionfanti fuori dal palazzo in cui si erano rifugiati, portando fieri il loro bottino. Andarono a casa guardinghi, sempre di nascosto,  sperando che il clamore che avevano suscitato nel villaggio non si fosse propagato sino a casa. Purtroppo per loro, la notizia era arrivata anche alle orecchie dei genitori e  li attendevano dolorose sculacciate.

Lasciamo per un momento i guai di Ruggero e Guglielmo e torniamo ad occuparci di quella domanda che i bambini si erano posta precedentemente. Il tempo  passava e non riuscivano a trovare risposta; poiché la cosa li tormentava, pensarono  che fosse arrivato il momento di scoprirlo. Si sedettero intorno al tavolo e cominciarono a pensare, a pensare e ancora a pensare. Siccome la  famiglia era molto povera, la principale preoccupazione dei due bambini era di trovare un lavoro che consentisse tanti guadagni, in modo che in quella casa nessuno soffrisse più il freddo e la fame. Il problema era che erano ancora piccoli e che i loro genitori volevano loro molto bene. Sicuramente avrebbero impedito loro di fare delle domande che riguardavano il lavoro, poiché non volevano parlare della tragica situazione economica in cui versavano. Né, tanto meno, avrebbero mai consentito che i loro bambini, così piccoli, andassero a lavorare per aiutare la famiglia.

Ruggero balzò dalla sedia e camminò per casa pensando, finché inciampò su un vecchio giornale nel quale la vicina di casa aveva avvolto una pezza di formaggio che aveva regalato alla famiglia; lo prese, e non sapendo ancora leggere, guardò la figura in bianco e nero: si vedeva un uomo dietro un bancone che dava dei soldi ad alcuni personaggi incappucciati. Nella stanza ci fu un attimo di silenzio, quando venne l’idea: Ruggero avrebbe fatto il banchiere! Mettere su la prima banca del paese era proprio l’idea giusta; un lavoro che avrebbe permesso di guadagnare abbastanza soldi con cui mantenere la famiglia, la madre, il padre, i nonni e, in seguito, quando sarebbe diventato grande, la moglie e i figli. Ora però nasceva anche un’altra  domanda: erano capaci di mettere in atto un lavoro così complicato e all’apparenza irrealizzabile ? La domanda sembrava semplice, perché le risposte potevano essere solo due: sì o no. A ben vedere, però, dentro di essa si  nascondeva una forte difficoltà. I bambini non sapevano nulla di un lavoro così complicato, e non sapevano come cominciare ad organizzarsi; non sapevano nemmeno cosa fosse un banchiere e l’unica volta che ne avevano sentito parlare era stato quando la madre aveva parlato di un banchiere morto in un incidente. Quella volta, la curiosità di Ruggero lo spinse a chiedere cosa fosse questo lavoro, e dopo avergli dato le solite tre sculacciate per essersi intrufolato nel discorso degli adulti, la madre spiegò che il banchiere era il mestiere di chi dava soldi a credito a chi ne aveva bisogno. I ragazzi annuendo finsero di aver capito tutto, ma in realtà avevano solo confermato la loro vecchia idea. Si erano semplicemente convinti che quello fosse il bel mestiere di chi dà soldi a tutti quelli che ne hanno bisogno e allo stesso tempo diventa ricco.

Ora però i bambini si chiedevano come potersi organizzare; si fermarono però davanti ad un problema: dove avrebbero preso tutte le monete da potere distribuire a chi ne avrebbe fatto richiesta?  Pensandoci un po’ sù  si arresero e decisero di trovare un altro lavoro possibile, che avrebbe  fatto la loro felicità nell’età adulta, ma che intanto potesse alleviare lo stato di  povertà della famiglia molto velocemente. Pochi mestieri si affacciarono nella loro mente: il maestro, oppure qualche lavoro manuale, quindi dedicarsi al legno o ai campi o, perché no, ai tessuti. Oppure al disegno! Proprio lì Guglielmo si esaltò, lui era bravissimo a disegnare e tutti i bambini della valle gli facevano i complimenti quando vedevano i suoi scarabocchi. Ruggero invece si era  esaltato quando avevano parlato di politica, a casa infatti gli piaceva comandare e dare ordini al fratello. Ora i due fratelli avevano due sogni differenti, ma il lavoro dell’artista non poteva fare guadagnare molto e ciò fu la causa di molti litigi. A Ruggero non era mai passato per la mente che questo potesse essere un lavoro; ma il sogno di fare l’artista stava conquistando la mente di Guglielmo. Il tempo passava e a causa dei tanti litigi i due iniziarono a non rivolgersi più la parola. Non era mai successo, fino a quel momento ogni piccola cosa l’avevano fatta insieme; per esempio, quando si mangiava bisognava iniziare e finire contemporaneamente; quando si doveva fare un gioco bisognava farlo sempre insieme. Perfino a letto si andava a dormire sempre insieme!

La faccenda, dunque, era diventata molto difficile. Passavano giorni, settimane, mesi e di segni di pace tra i due fratelli non c’era traccia. La madre, preoccupata, volle allora intervenire; così pensò ad un piano. Era lunedì mattina, e quel giorno a Ruggero toccava spennare le galline. Lui stava già entrando nel pollaio quando la madre, mentendo, gli disse che il fratello si offriva di aiutarlo. La madre andò allora da Guglielmo, che stava prendendo l’ascia per tagliare la legna, e  gli disse che il fratello si voleva offrire di lavorare al suo posto; anche questa era, naturalmente, una cosa inventata. Entrambi i fratelli esitarono a crederle e dopo essersi attesi, invano, a vicenda  entrarono in casa dove si domandarono in coro il motivo per cui non si stavano aiutando. All’inizio cominciarono a litigare, arrivarono, persino, ad incolpare la madre; alla fine però realizzarono che la madre voleva solamente il loro bene e in quel momento il loro litigio non andava a vantaggio di nessuno; allora, con una calorosissima risata, si abbracciarono e decisero di non parlar più della questione del lavoro.

Intanto il tempo passava, e i due bambini erano diventati ragazzi, le loro esigenze aumentavano e in casa non vi era la possibilità di avere le paghette mensili di dieci soldi che avevano i loro compagni. Così si cominciò a riproporre il problema economico e ricominciò il bisogno di trovare un lavoro. Nel mese di maggio di quell’anno, i cittadini della valle furono chiamati a eleggere il loro nuovo sindaco. I due fratelli, che erano diventati alti e robusti, e si erano fatti la fama di sapere parlare bene e di sapere convincere tutti con i loro argomenti, decisero di candidarsi tutti e due alla poltrona di sindaco. Si andò a votare in una bella domenica di primavera, con i fiori che coloravano i prati; da quella terribile bufera d’inverno, non c’erano però gli usignoli a cantare e il cuore degli abitanti non era perciò completamente felice. Arrivò l’ora dello spoglio dei voti e l’ansia attanagliava il cuore di Ruggero con una forza terribile. Un uomo salì sul palco, e cominciò a dire qualche parola senza senso, forse per attirare l’attenzione della gente. Poi disse con aria emozionata, lasciando qualche pausa tra le parole per dare la sensazione di suspense, il nome del nuovo assessore. Quando disse assessore  ci fu un respiro di sollievo, visto che i due si erano candidati a sindaco e che la  funzione di assessore proprio non interessava loro. Dopo aver detto quel nome l’uomo sul palco continuò dicendo altri nomi di consiglieri, assessori, intervallati da parole che dovevano far emozionare la gente, come la frase “cari cittadini, siamo qui oggi per farvi capire quanto noi teniamo a questo villaggio e quindi vogliamo cercare di farvi vivere una vita serena con le persone che voi eleggete”.

Finalmente era giunta l’ora: il nome di chi doveva diventare sindaco stava per essere letto e l’ansia era più estesa dell’oceano. L’uomo sul palco continuò a leggere e, con un’ aria sorpresa, nominò il nome del sindaco: Martino…

La faccia delusa di Ruggero e la sua rabbia gli impedirono di sentire il cognome di quel tizio. Corse subito a casa, si chiuse nella camera e tenne la porta sbarrata per ore senza far entrare il fratello, nemmeno per fargli prendere le ciabatte. Guglielmo invece non dava peso alla sconfitta e non capiva perché il fratello se la fosse presa tanto; stette per un po’ dietro la porta, senza sapere cosa fare, quando prese un foglio e cominciò a scarabocchiare con la penna piumata uno splendido cavallo bianco, che correva libero in un bellissimo campo che però fuggiva da una grossa macchia di un colore strano, un grigio moneta. Tutti i litigi per il lavoro e perfino la storia della candidatura erano sorti per l’eccessiva preoccupazione per il denaro. Finì il disegno, vi pose la propria firma e lo consegnò al fratello, facendolo scorrere sotto la porta. Tornò in cucina,  trovò un giornale e cominciò a leggere. Non trovando nulla di interessante, richiuse il giornale e preparò un caffè. In quell’istante dalla porta della cucina apparve Guglielmo, con il disegno a mano: abbracciò il fratello con le lacrime agli occhi senza accorgersi di avere urtato il suo braccio e del caffè che cadeva sul giornale.

Presero uno straccio per pulire il tavolo e, spostando il giornale, Ruggero, si accorse di un articolo che si trovava in prima pagina e che Guglielmo non aveva notato. L’inchiostro era sbiadito a causa del caffè ma si poteva benissimo leggere:

CONCORSO PER IL MIGLIOR DIPINTO DELLA VALLE.

Premio in palio: Viaggio Gratis Per Una Persona Nell’esotica Africa!

Non ci pensò due volte e, prendendo l’indirizzo, di nascosto del fratello decise di trasferire il disegno su una tela da presentare al concorso. La voglia di partecipare al concorso non dipendeva dal premio finale, ma dal piacere di poter esprimere le idee di Guglielmo e di farle conoscere agli altri.  Guglielmo, infatti, non adorava le competizione e non voleva confrontarsi con gli altri; ma questa volta Ruggero partecipò con emozione alla passione del fratello, col desiderio che il suo talento si facesse strada e facendolo diventare un vero pittore. Andò perciò lui stesso a comprare la tela. Nel negozio comprò anche i pennelli e i colori. Arrivato a casa andò a chiudersi nella sua camera, per non farsi scoprire dal fratello. Prese il disegno che gli aveva regalato il fratello e cercò di copiarlo con attenzione sulla tela. I giorni passavano con velocità e il momento della consegna del dipinto si avvicinava. Dopo giorni di duro lavoro, finalmente, riuscì a completarlo. Quando arrivò il giorno, Ruggero consegnò il quadro alla giuria del concorso orgoglioso della sua idea e felice di avere ereditato almeno un po’ del talento del fratello. Rimase colpito dalla grande folla che partecipava. Arrivato il suo turno, con un po’ di imbarazzo e ironia consegnò il quadro, e dopo aver discusso un po’sulla solita routine delle consegne, se ne andò. Solo dopo la sua uscita, la giuria si accorse che il quadro portava la firma del fratello Guglielmo. Passarono lunghi giorni di attesa: finalmente una mattina di sole intenso, una carrozza con il messo della giuria percorse il sentiero che portava alla loro casa; era un uomo molto vecchio, con la voce raffreddata e rotta dalla tosse, consegnò una missiva chiusa con un nastro rosso: Ruggero l’aprì con emozione ed apprensione.

Dentro c’era la comunicazione ufficiale che il signor Guglielmo aveva vinto il concorso. Non credeva ai suoi occhi. Era un sogno? No, le sue dita scorrevano una, due volte sulle lettere che formavano il suo nome. Le sue pupille si appannarono e una lacrima di gioia solcò il suo viso.

Quando alcuni anni dopo nel villaggio furono indette nuove elezioni, Ruggero si candidò e ottenne i voti di tutti i cittadini della valle. Nel corso del suo mandato, furono pavimentate tutte le strade del villaggio, costruiti ponti, piantati alberi e fiori ovunque c’era spazio, le finestre e le porte di legno rifatte e rinforzate in modo da sostenere le bufere dei freddi inverni. Con stupore di tutti, anche gli usignoli tornarono nella valle e andarono ad abitare nelle vecchie casette di legno che aveva fatto il papà falegname.

Ogni tanto nella valle tornava anche Guglielmo; da quando era andato in Africa, col biglietto premio ricevuto per il concorso di pittura, la sua vita aveva trovato la sua strada. Impressionato per la povertà di quella popolazione, era rimasto là; aveva dato un suo contributo aiutando nella costruzione di pozzi, scuole, ospedali. Agli uomini insegnava le tecniche per coltivare i campi che aveva imparato dal padre; alle donne insegnava a ricamare e cucire, come aveva imparato dalla madre; nel tempo libero insegnava a disegnare ai bambini. Anche lui continuava a dipingere, e quando tornava a casa regalava i quadri al fratello che provvedeva subito ad appenderli nelle piazze del villaggio, che così diventava sempre più bello.

Quando, molti anni più tardi, Ruggero e Guglielmo morirono, i concittadini finanziarono una targa che li ricordasse.

Sotto c’era scritto:

L’ARTE APRE IL CUORE DEGLI UOMINI.

LA RICCHEZZA E’IL SORRISO  CHE DONI AL PROSSIMO

 

AndreaPappalardo II A

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