Il Dono: una lettura antropologica

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Nelle civiltà primitive, come evidenziato dal noto antropologo e musicologo Marius Schneider il dono, l’offerta, il sacrificio erano essenzialmente sonori e la connessione col divino in senso acustico. Si stabiliva una connessione col divino in cui avveniva uno scambio di energie tra l’uomo e il cosmo attraverso i suoni. Lo sciamano attraverso la voce e il tamburo visto come mezzo di trasporto verso gli atri mondi, effettuava l’offerta rituale, nutrendo gli dei col suono e ricevendone l’energia sonora. Dai tempi preistorici il senso dei riti e delle offerte, trasformatesi anche in sacrifici cruenti, umani e non, è cambiato, marginalizzando la musica in funzione di accompagnamento ,o anche puramente decorativo. Non in tutte le culture ovviamente, basti pensare all’Oriente: Dall’Afghanistan all’India, al Tibet, alle isole del Pacifico o all’Africa. Ma nella grande musica occidentale troviamo titoli come l’offerta musicale di J.S.Bach a ricordare con solennità la sostanza acustica del sacrificio.

Il grande medievalista francese Gerorges Duby, ha rivelato come la società feudale inaugurata nel periodo carolingio fosse sostanzialmente una società di tipo tribale basata sullo scambio dei doni. Il dono, tra famiglie potenti, tra vassalli e imperatore, era un segno di garanzia di fedeltà, di unione, inteso naturalmente come un do ut des. Tutto era considerato un dono, nulla si comprava e si vendeva, tra gli appartenenti all’aristocrazia. Anche il feudo era un dono che l’imperatore faceva in cambio dell’aiuto militare. Dono e contraccambio, nuovo dono, stabilendo così una circolazione equilibrata di beni e un reintegro di funzioni utili al mantenimento di una classe di guerrieri sovrapposta e affiancata ad una classe di chierici, coloro che pregano ossia che si occupano dei doni divini, su una maggioranza costituita da quelli che lavorano per tutti. Anche l’istituzione religiosa vive sostanzialmente di donazioni fatte dai fedeli in riparazione dei peccati e per garantirsi la salvezza dell’anima. In tal modo il patrimonio ecclesiastico si ampliò a dismisura, con particolare incremento intorno all’Anno Mille. Come giustificare tale imbarazzante abbondanza di beni materiali? Semplice: il dono non si può rifiutare, specie se si tratta di un omaggio fatto per motivi spirituali. Cristo nacque in una grotta e fu povero tra i poveri, ma non rifiutò i doni dei Re Magi, venuti dall’oriente con offerte preziose rivolte al divino. Le fondazioni monastiche benedettine non rifiutavano i doni terreni ed edifici, precisando però che il singolo monaco restava povero e nulla tenente fino alla morte, rispettando così in pieno il suo triplice voto. Così la monaca portava la sua dote al monastero e più tardi i conventi, anche gli ordini mendicanti (ossia che vivono solo di offerte ) ricevevano serenamente doni, dotazioni, lasciti di ogni genere. Ovviamente tutto ciò trova una grande giustificazione generale nel famoso documento chiamato La donazione di Costantino, il più noto tra i falsi storici, smascherato da Lorenzo Valla nel Quattrocento. La chiesa riceve dall’imperatore Costantino la città di Roma e il Lazio in solenne dono alla sede Pontificia. Il privilegio, il grande dono imperiale sarebbero risaliti così al quarto secolo, mentre il Valla dimostrò che il documento era un’abile contraffazione e la pergamena confezionata in età carolingia. La Donazione dunque era falsa e, come tante altre in epoca medievale, ritenuta vera e impugnabile per secoli. Nella tradizione popolare l’atto del donare risponde a esigenze di solidarietà familiare e interfamiliare, si pensi ai doni di matrimonio o in occasione di feste religiose o meno, ricorrenze come compleanni e altri anniversari, oltre che come semplici manifestazioni di affetto oppure come tentativo di seduzione. Riflettendo su quest’ultima situazione rammento le serenate notturne che l’amato dedicava all’amata e che fungevano come una sorta di dichiarazione. In tempi più vicini, qualcosa di donare suoni, un canto fatto di versi poetici alla persona che si ama o di cui si vuole destare l’attenzione, è rimasto nelle dediche di brani musicali fatte nelle emittenti radiofoniche indipendenti. Certo si tratta di registrazioni e non di musica dal vivo, ma tant’è, la sostanza è la stessa, pur nello scadimento della qualità e delle forme. Il regalo di un anello o di un diamante, magari nella festa di San Valentino, testimonia ovviamente un interesse e un impegno ben diversi dalla semplice serenata e dalla dedica di una canzone, pur amata e commovente, preludi necessari anche se non sufficienti al reciproco dono delle vite degli amanti.

Lorenzo Lanzafame III A

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