Il dono: abile invenzione letteraria

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Il vocabolo dono deriva dalla parola greca δῶρον ed ha un significato molto simile a regalo o presente, ma il termine assume una connotazione profondamente diversa. Con dono, infatti, si intende un atto di incredibile generosità che, al contrario del regalo, non presuppone l’essere ripagato dal destinatario. Molti studiosi nel corso della storia si sono chiesti se questo dono disinteressato possa realmente esistere o se ci sia sempre un secondo fine in ciò che l’uomo fa.
Uno degli esempi più celebri e celebrati di donazione disinteressata è sicuramente quello di Gesù Cristo, figlio di Dio, che per volere del Padre si è incarnato abbassandosi al più basso livello degli uomini. In questo modo, sacrificandosi, ha salvato il genere umano da tutti i peccati. Questo tipo di dono è descritto ne Il dono di Natale di Grazia Deledda. La storia propone comunque migliaia di altri esempi, come quello del celeberrimo mito di Antioco e Stratonìce.

Il re Seleuco I Nicatore aveva preso in moglie questa giovane e bellissima ragazza. Tra i due coniugi intercorreva una differenza d’età abissale, tanto che Antioco, il figlio del re, aveva la stessa età di Stratonìce. Il giovane, vedendo per la prima volta la matrigna se ne innamorò perdutamente, ma non potendo soddisfare il suo desiderio d’amore soffriva talmente tanto che si ammalò. Seleuco, quando venne a conoscenza di ciò, non esitò un secondo a dare al figlio Stratonìce in sposa e a conferirgli tutto il suo regno, dimostrando grande generosità e amore. A questo episodio il pittore francese Jacques-Louis David dedicò una sua opera. Un altro celebre esempio di generosità incondizionata è costituito dalla cosiddetta Donazione di Costantino, il famoso documento medievale, in seguito rivelatosi un falso. Questo fantomatico scritto del grande imperatore Costantino conferiva al papa il potere temporale in base alla teoria secondo la quale il governo sul mondo era stato affidato da Dio a San Pietro, il primo papa, che lo aveva poi tramandato ai suoi successori. Questa teoria, successivamente definita del Sole e della Luna, fu sostenuta dal papato e dai guelfi, e fu più volte dimostrata con la suddetta Donazione di Costantino, documento che sanciva la superiorità del papa sull’imperatore. Il documento fu poi analizzato da vicino e si scoprì che era stato composto in un’epoca ampiamente posteriore a quella dell’imperatore Costantino. In ogni caso ciò sarebbe stato un atto nobilissimo, straordinariamente generoso e venerabile, come del resto lo sono anche quelli dei precedenti esempi. Anche nella storia ci sono episodi molto simili. Infatti, presso i greci, questa generosità disinteressata era espressa come il dono dell’ospitalità, la cosiddetta ξενìα, e faceva parte della quotidianità. Quando infatti un uomo bisognoso di un riparo bussava alla porta di un greco, quello non poteva rifiutare di aiutarlo, poiché la xenìa era un valore fondamentale per il popolo ellenico, di cui Zeus stesso era il protettore. Ancora oggi, presso alcune popolazioni indigene del Nord America e del Canada esiste un rito simile, chiamato Potlatch, in cui colui che organizza il rito non solo offre un banchetto ai suoi ospiti, ma concede loro dei doni. Queste tradizioni sono senz’altro degne di venerazione e non dovrebbero mancare a un popolo che si rispetti.
Anche nella storia del cinema non mancano esempi di dono. Un esempio evidente è rappresentato dal capolavoro di Quentin Tarantino Pulp Fiction, e in maniera più specifica del personaggio interpretato da Samuel L. Jackson, Jules Winnfield. Egli è un criminale, un sicario che lavora per il boss della malavita di nome Marcellus Wallace. Un giorno, però, durante una missione di routine un uomo con una pistola ad alto calibro spara verso di lui e Vincent, il suo collega. Tutti e sei i colpi vanno a vuoto. Jules allora vede nell’accaduto un segno divino, un miracolo. Dio vuole dirgli qualcosa: lui deve cambiare vita. Per questo, quando, in una caffetteria in cui lui e Vince stanno facendo colazione, arriva una coppia di rapinatori, dopo aver ribaltato la situazione e aver puntato la pistola contro uno dei due malviventi, decide di non ucciderlo, come avrebbe invece fatto in un altro giorno qualunque, donandogli non solo qualcosa di immateriale, e cioè la salvezza, ma anche i soldi dentro il suo portafogli, che gli era stato precedentemente rubato. Si è dunque visto come la capacità di donare sia un qualcosa di indubbiamente degno di lode, che può avvicinare l’uomo a Dio. Quest’ultimo infatti è stato capace di sacrificare per gli uomini il proprio figlio senza un secondo fine. L’uomo si ispira quindi a un atto di estrema generosità e amore, provando quindi a emulare quella perfetta figura divina. Ma l’essere umano, in quanto imperfetto è capace di fare qualcosa di perfetto come un dono che non presupponga l’essere ricambiato? Una perfetta definizione di dono disinteressato è data da Mark Anspach nell’opera Cosa significa ricambiare? Dono e reciprocità: donare senza un perché, solo per la gioia di aiutare sconosciuti. Se ogni uomo fosse capace di fare ciò, di sicuro il mondo diventerebbe il Paradiso. La verità è che ormai il dono è diventato un atto strumentalizzato, privato paradossalmente dall’uomo di una qualsiasi forma di umanità. Theodor W. Adorno parla di questa situazione nei Minima Moralia. Sia la donazione cosiddetta pubblica che quella privata sono compromesse, in quanto la prima è vista quasi come un obbligo, anzi un’umiliazione, come la definisce Adorno, ed il beneficato è considerato un oggetto. La donazione privata, invece, non scaturisce più una certa fantasia nel donatore, che è talmente poco interessato nel donare qualcosa a un suo caro che preferisce a un regalo che viene dal cuore un banalissimo articolo da regalo, cioè un oggetto di cui i venditori hanno già scelto la destinazione prima ancora di venderlo. «Queste merci sono irrelate come i loro acquirenti: fondi di magazzino fin dal primo giorno.» Ciò descrive la decadenza della pratica del dono. Anche il filosofo Enzo Bianchi, nel saggio Dono. Senza Reciprocità, esprime il suo pensiero su questo concetto. Il tanto celebrato dono è oggi visto più come scambio utilitaristico di merci, o peggio ancora, da alcuni esso è utilizzato come una specie di strumento di manipolazione. Il beneficiario del dono, solitamente, si sente quasi in obbligo di ricambiare il favore ricevuto dal donatore. Si è detto solitamente poiché, come dice lo stesso Bianchi: «il dono può̀ essere rifiutato con atteggiamenti di violenza o nell’indifferenza distratta; il dono può̀ essere ricevuto senza destare gratitudine; il dono può̀ essere sperperato: donare, infatti, è azione che richiede di assumere un rischio.» Ma il dono può, come si è detto, anche «incatenare la libertà degli altri». L’arte del donare, comunque sia, secondo Bianchi non è in crisi: donare, per natura, è un atto estremamente complicato, che solo gli uomini riescono a compiere poiché sono capaci di dialogo, e soprattutto di esternare i propri sentimenti. Ma ovviamente per fare ciò ci si deve fidare profondamente di quella persona, e provare un amore incondizionato per lei. E per l’uomo questo è pressoché impossibile. Da sempre gli uomini hanno cercato di dare all’amore e quindi alla capacità di donarsi agli altri una connotazione religiosa, un mezzo di avvicinamento a Dio, dando quindi una specie di secondo fine a questo atto che dovrebbe essere, invece, disinteressato. Ma non lo è mai. Un motivo dietro a ogni atto che sembra disinteressato c’è sempre, e per quanto esso sia nobile non riesce mai ad alleviare il brutale delitto dell’uomo: porre un interesse ad un atto disinteressato. Si può descrivere questo concetto anche con gli esempi posti precedentemente. La xenìa e il potlatch sono tradizioni ritenute alquanto nobili, ma anch’esse sottintendono una retribuzione dal gesto di donazione che è stato fatto. Infatti l’ospite e l’ospitante restavano legati, e con loro le rispettive famiglie. Il favore che l’ospitante aveva fatto all’ospite veniva poi ricambiato da quest’ultimo o dai suoi successori. Diventava così una catena di scambio di doni, quasi un commercio. Allo stesso modo nel potlatch, quando uno dei membri delle tribù celebra questo rito facendo doni a tutti, si aspetta che, dopo essere stato invitato ad un altro potlatch, riceverà a sua volta un dono. E parlando invece di Pulp Fiction, il dono della vita che Jules concede al rapinatore è veramente disinteressato? Jules è solito, prima di uccidere qualcuno, recitare un passo biblico che conosce a memoria, Ezechiele 25:17: «Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te». Jules ammette di non aver mai capito il vero significato di questo passo prima di aver visto in faccia la morte. Lui vorrebbe essere il pastore che conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, dunque un uomo buono, quell’uomo che lui non è mai stato. Realizza infatti di essere la tirannia degli uomini malvagi. Nonostante lui sia uno spietato criminale, comunque, vuole provare ad essere un pastore, un uomo buono. Ed è questo il motivo per cui risparmia la vita a un rapinatore qualsiasi, che non l’avrebbe meritata più di una qualsiasi altra vittima del suo lavoro di sicario. C’è dunque un secondo fine dietro questo dono? Ovviamente: è il desiderio di redenzione, di purificazione. Per quanto siano buoni i propositi di un uomo, quando egli cerca di fare un dono non ci riesce mai in maniera perfetta. È sempre condizionato da qualcosa, si aspetta di essere contraccambiato, anche se spesso inconsciamente, per quell’atto di generosità. Ed è così che l’essere umano, per sua natura, compie atti apparentemente disinteressati per sentirsi meglio con se stesso, con la sua coscienza, con la sua anima, col suo Dio. Solo Dio è capace di donare, mentre gli uomini, copie imperfette della divinità, non possono far altro che aspirare a quella perfezione senza mai raggiungerla. Questo è il vero premio che cercano di ottenere in cambio di un dono.
Romolo Cannata III A

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