I PUPI SICILIANI: la più invisibile delle guerre invisibili

images 9

L’Opera dei Pupi (Òpra dî Pupi in siciliano) (dal latino pupus, i, che significa bambinello) sono le caratteristiche marionette armate di quel teatro epico popolare i cui protagonisti sono Carlo Magno e i suoi paladini. Le gesta di questi personaggi sono trattate attraverso la rielaborazione del materiale contenuto nei romanzi e nei poemi del ciclo carolingio, probabilmente sono arrivati dalla Spagna di Don Chisciotte, che operò a Napoli e a Roma, ma soprattutto, dalla prima metà dell’Ottocento, in Sicilia, dove avrebbe raggiunto il suo massimo sviluppo. Il teatro dei pupi, inserito dal 2001 nell’elenco dei Beni immateriali dell’umanità perché rispecchia l’identità di un paese e di un popolo, è una delle attestazioni di arte e cultura popolare che ancora sopravvive nella Sicilia contemporanea.

I pupi sono espressione “splendente” di quello spirito epico, eroico e cavalleresco, che dalla Chanson de geste medievale ai grandi poemi del Boiardo e dell’Ariosto, a tutta una tradizione letteraria, musicale, figurativa, e in particolare teatral-popolare, segna lo sviluppo di un’educazione sentimentale e di una visione etica e poetica del mondo. I pupi esprimono la volontà di continuare a battersi in quella che è stata definita “la più invisibile delle guerre invisibili” che, con i nostri ideali, sosteniamo dentro di noi più che fuori. Non a caso i pupi costituiscono un umile ma tenace segno di contraddizione e di resistenza rispetto alla logica della rassegnazione e del peggio, che è di tanta cultura e letteratura di “vinti”. Con i pupi possiamo aprirci un varco verso quel pò di libertà che si può conseguire nella recita “a soggetto” del sacro canovaccio del destino, e affrontare il pathos dell’ esistenza in un “catartico” gioco di arte e di poesia. In tal senso, un teatro come quello dei pupi può essere “necessario, … essenziale come il pane”. É opportuno distinguere il burattino, la marionetta e il pupo. Il burattino è animato dal basso, direttamente da pollice, indice, medio della mano o da asticelle. La marionetta è animata dall’alto, esclusivamente per mezzo di fili. Il pupo è anch’esso animato dall’alto, ma, al posto dei fili, ha per muovere la testa e il braccio destro due sottili aste di metallo. I pupi portano in scena l’epica dall’Iliade e dalla Bibbia alla Chanson de Roland e ai romanzi dell’epopea cavalleresca. Si ritiene che l’epopea carolingia sia arrivata in Sicilia con i Normanni, nel XII secolo. Che essa sia stata fatta propria dalla gente fin da allora o che sia diventata epopea popolare successivamente poco importa; è certo che ha trovato in Sicilia uno straordinario favore per cui si è conservata fin ai giorni nostri.
All’inizio furono soprattutto i cantastorie a tramandarne il ricordo. A partire dal XIX secolo il racconto popolare dell’epica cavalleresca franco normanna utilizzò il pupo già conosciuto rivestendolo di foggie che si rifacevano all’ iconografia cinquecentesca. Gli eroi paladini, rappresentati nel teatro dei pupi, unitamente alla esalazione dei valori morali di cui sono campioni, mettono in risalto il confronto tra la civiltà europea ed islamica, del cui urto la Sicilia è stata teatro: per questi valori i paladini lottano e muoiono, rimanendo così nella cultura popolare tra il mito e la storia vera. I pupi non hanno fili come le marionette. Con le aste i pupari li muovono sullo sfondo di scenari ingenui e colorati. Li muovono al ritmo degli scudi e delle spade. Ma i pupi non sono marionette. La parola ha anche questo significato amaro. “Pupi siamo, caro Signor Fifì! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti” (L. Pirandello, Il berretto a sonagli, a.I)
C’è tanta disperata amarezza in queste parole. Un’amarezza meridionale. I pupi e i pupari. Le parole possono avere significati amari. Ma il teatro dei pupi ha un altro significato. Il teatro dei pupi non è un teatro di marionette.
I pupari che dietro i fondali li muovono, i pupari “di l’opra de’ pupi” hanno per i pupi il rispetto “che ogni pupo vuole portato”. Il rispetto che Ciampa, pupo strozzato dai fili, chiede per sé. Forse invano. Questi pupari non soffocano i pupi. Questi pupari animano i pupi. Danno voce e sentimento alle loro “bambole” coperte di armature improbabili. In un tempo in cui le bambole non gracidavano suoni in falsetto, così i bambini davano voce e sentimento ai pupi regalati dai morti.
I pupari raccontano le loro storie improvvisando e recitando. Raccontano come si raccontava una volta, quando il narratore parlava in un cerchio di occhi sgranati e credeva anche lui nella sua favola. I pupari raccontano storie di ribelli. Raccontano la favola di quelli che si battono contro un potere prepotente e incomprensibile e in qualche modo riescono a vincere. Una favola. Una favola siciliana. E i paladini ne sono i nobili protagonisti. Nobili non perché sono conti e baroni e indossano costumi colorati e luccicanti, ma perché loro, almeno loro, non combattono pe sè.
I paladini combattono per la religione, per l’amore, per la gloria, per la fedeltà. Non combattono per diventare ricchi e potenti. Forse per questo oggi la loro favola appare una rivisitazione nostalgica di un passato teatrale, incerto tra folklore e cultura. Ma il teatro dei pupi è ancora teatro. E in esso gli attori si confondono con i personaggi proprio perché non ne indossano i panni e la maschera. Perché non occupano la scena e non avanzano alla ribalta.

FABIO SCHILIRO’ III A

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.