I pupi siciliani: ciò che resta di una variegata tradizione popolare.

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Se vi è mai capitato di andare in Sicilia, è quasi impossibile che voi non abbiate visto, magari in qualche negozio di souvenir, dei coloratissimi burattini rappresentanti guerrieri. Queste marionette sono comunemente chiamate “pupi”, parola che deriva dal latino pupus e significa bambino. I guerrieri rappresentati dai pupi differiscono fra di loro per la colorazione dei vestiti, gli stemmi degli scudi e il colore dei capelli e della pelle. Questi personaggi fanno parte del famoso ciclo Carolingio, sviluppatosi in Francia nel X secolo. A questo ciclo appartiene la famosissima Chanson de Roland, la Canzone di Orlando. Una domanda sorge spontanea: come hanno fatto queste opere ad arrivare in Sicilia? Tra i tanti dominatori della Sicilia ci furono i Normanni, popolazione originaria dell’Europa settentrionale che giunse nell’isola circa nell’XI secolo. Furono loro, probabilmente, ad esportare nel sud Italia l’epopea Carolingia, che ha incantato grandi e piccini per secoli grazie alla rappresentazione tramite pupi.

L’origine di questi spettacoli risale al XVIII secolo, anche se si pensa che le prime forme di marionette siano state fabbricate addirittura nell’epoca di Socrate e Senofonte, quando gli artigiani Siracusani iniziarono a creare questi manufatti. Parlando della struttura del pupo, la prima cosa che salta agli occhi è la decorazione: le parti metalliche sono abbellite con finezza tecnica unica. Il corpo del pupo è fatto di legno, ricoperto poi dalla stoffa degli indumenti e l’armatura. Per animare il burattino ci sono due fili metallici, il cui materiale rende più semplice svolgere azioni precise come sguainare la spada o abbassare la visiera dell’elmo. Ci sono poi grandi differenze tra zona e zona per la struttura dei pupi. Si distinguono due principali scuole di produzione: quella palermitana e quella catanese. I pupi palermitani sono più piccoli e più snodati. Sono infatti alti circa 90 centimetri e pesano 10 kg. In più c’è la possibilità di piegare le gambe, facendo inginocchiare il pupo. Al contrario, invece, i pupi catanesi sono più alti e pesanti(1,40 metri di altezza e 30 chili di peso), ma meno dinamici. In più i pupi palermitani sono manovrati lateralmente, mentre quelli catanesi dall’alto. Alcune volte, addirittura, variavano anche i personaggi. A Catania, ad esempio, era presento come paladino Uzeda, trasposizione di un vicerè vissuto nel 1600, oppure Peppinu, lo scudiero di Orlando e Rinaldo.
Chi anima i pupi è chiamato puparo. Egli non è solo il burattinaio, ma anche l’attore che dà voce ai personaggi e lo sceneggiatore. Nonostante spesso i pupari fossero analfabeti conoscevano a memoria i poemi cavallereschi che raccontava al pubblico, come la Chanson de Roland o L’Orlando furioso. Talvolta questi pupari, quando volevano comunicare qualcosa di scomodo alle autorità parlavano in un linguaggio incomprensibile: il baccagghiu.
La tradizione dei pupi persiste ancora oggi solo grazie ad alcune famiglie che tuttora rappresentano a teatro le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini. Infatti le opere popolari persero popolarità negli anni ’30, con la diffusione del cinema, e negli anni ’50, con l’avvento della televisione. I pupari, quindi , si contano sulla punta delle dita. Tra i pochi ancora in vita citiamo i fratelli Napoli a Catania, i fratelli Cuticchio a Palermo e infine Ignazio Puglisi a Siracusa. Ciò che più importa è che la tradizione si conservi, dato che è stata nominata patrimonio orale e immateriale dell’umanità nel 2001.
Romolo Cannata III A

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