Contratto col demonio.

romolo cannata

Soffriva come un cane, lì in mezzo alle fiamme dell’inferno,  sbranato da belve feroci, lui, uomo religioso, giudizioso, di  buon animo. Come avrebbe mai potuto pensare di fare quella  fine?  proprio lui? Donald? Non avrebbe mai creduto di  passare l’eternità in quel modo orribile. Almeno fino al suo  ultimo giorno.  Qualora se ne fosse accorto quella sera stessa,  se non avesse firmato a questo punto sarebbe a casa sua, a  bere la sua buona cioccolata calda, con il suo fedele bracchetto appisolato sulle sue gambe, o magari in paradiso.

Donald non aveva mai fatto nulla di strano nella sua vita. Era un uomo semplice, che svolgeva il suo lavoro di contabile in maniera scrupolosa. Aveva trent’anni quando i suoi genitori morirono in un incidente d’auto. Pianse molto per loro, ma con la sua forza, la sua fede, e anche grazie al suo fedele bracchetto Bobby, riuscì ad andare avanti. Continuò a vivere come viveva tutti i giorni, da uomo sobrio, cauto, giudizioso, semplice. Si alzava presto, andava al lavoro, sopportava le angherie di Mr.Brown, il suo capo, tornava a casa, con moltissimo lavoro da fare, anche troppo per la sua paga, cenava e sedeva sulla poltrona davanti al camino, con la sua vestaglia, le pantofole, una tazza piena di cioccolata fumante e Bobby sulle gambe, che si faceva accarezzare mentre riposava. Un uomo come lui sopportava di tutto e di più, non si rivoltava mai ai soprusi, perché credeva che esistesse una giustizia più grande dell’uomo. Ma una sera un avvenimento cambiò la sua vita per sempre. Dopo una giornata stressante, si stava dirigendo verso casa, ma la strada che faceva di solito era bloccata a causa di un  incidente, molto più grave di quello che aveva mietuto la vita dei suoi genitori. Erano morte sette persone, tre auto coinvolte, e tutto a causa di un ventenne ubriaco, non esperto della guida. Fortunatamente per lui, Donald andava a piedi al lavoro, e questo non solo gli permise  di salvarsi, ma anche di poter proseguire per il suo cammino senza dover cercare chissà quale strada alternativa per tornare a casa. Quello fu l’inizio della sua sfortuna. Si aggirò per i vicoli più bui e disabitati di Blue Bridge, il suo paese, nella parte più sperduta dell’Inghilterra. Appoggiato a un muro, vicino all’unico lampione di Stamford Road, c’era un uomo ben vestito, con un cilindro e una lunga giacca elegante. Aveva un aspetto molto ordinario, ma aveva un bel paio di baffi che spezzava quell’usualità del suo volto. Sembrava che stesse aspettando qualcuno. Donald si sentì incuriosito, ma quell’uomo lo terrorizzava. C’era qualcosa dentro di lui che lo ammoniva, gli diceva di non parlare con lui, gli suggeriva di continuare per la sua strada. Ma l’uomo è curioso, istintivo, proprio perché umano. E allora il contabile si avvicinò a quel signore. Aveva ancora quello strano sentimento dentro di lui. Il cuore gli batteva forte. Quella strana ordinarietà spezzata solo da un paio di baffoni castani lo inquietava.

«Aspetta per caso qualcuno, signore?» chiese Donald. L’uomo alzò lentamente lo sguardo e finalmente rivolse gli occhi all’impiegato.

«Ora non più» rispose quello con una voce profonda e inquietante «Anzi» proseguì «Sei arrivato giusto in tempo, Donald». Quest’ultimo cominciò a sudare e deglutire. Quasi non riusciva a parlare. «Co…come sai il mio nome?» balbettò.

«Oh, io so molte cose. E non solo di te. Conosco tante persone senza che loro mi abbiano mai visto. Io sono Rastak. E posso aiutarti a trasformare la tua inutile esistenza nella vita dignitosa che ti meriti» replicò ridacchiando. « La mia vita è molto dignitosa. Io vivo solo in modo semplice, tutto qui. A me va bene così», rispose tremante e insicuro il povero computista. L’uomo appoggiato al muro si alterò leggermente e disse in tono più serio «Non ti credo. Io conosco i tuoi desideri, i tuoi sogni. So che vuoi sentirti qualcuno. E posso darti una mano in cambio di collaborazione». Donald voleva rifiutare, ma la cosa lo intrigava, e questo desiderio venne a galla nel suo animo. «Parla» disse Donald. «A te serve solo sicurezza, perché hai doti nascoste che potrebbero renderti padrone del mondo. Solo che non le conosci, ti sottovaluti e ti fai mettere i piedi in faccia da tutti» disse Rastak con parole convincenti. Ma c’era una parte di Donald che non riusciva ad accettare tutto ciò.

« La mia fede mi spinge a fare questo. Io so che giustizia sarà fatta un giorno. Sono certo che quello che faccio non è inutile. Io sopporterò tutte le angherie, vivrò solo in casa, lavorerò come un mulo da soma e vivrò con quello che ho, così da poter finire la mia vita qui e andare a vivere con Dio e i miei genitori per sempre» disse il computista fiero e sicuro. Quell’uomo losco scoppiò in una fragorosa risata. «Davvero credi che Dio ti renderà giustizia? Credi che trascorrendo una vita così inutile e subendo violenze verrai premiato? Dio non esiste. Qui ci siamo solo noi. Tu, io, e tutti gli altri uomini come noi. Ti devi fare giustizia da solo, oppure puoi credere di ottenere un premio facendo lo schiavo e rimanere a bocca asciutta. Ascoltami, lavoriamo insieme. Io sono un tuo alleato. Devi solo firmare questo contratto e dirai addio a questa vita immeritevole. Allora cosa mi dici? Scegli: una firma e dominerai il mondo, altrimenti puoi scappare e tornare a pregare». Donald non sapeva a chi dare ascolto: al suo istinto, che gli ordinava di firmare, o alla sua mente, che gli ordinava di allontanarsi. Tuttavia prese la penna, senza neanche accorgersene. Per un istante il suo istinto prese il sopravvento sul suo corpo e gli ordinò di scrivere. Però la sua mente riprese subito coscienza. Mentre stava per firmare il contratto alzò lo sguardo, e vide che il documento era scritto in una lingua arcana, a lui sconosciuta, ma vide un’iscrizione minuscola del numero trenta. Rabbrividì e cominciò a tremare, quando Rastak si alterò, i suoi occhi divennero rossi come il fuoco, il suo sguardo demoniaco. E così adirato urlò «Firma stupido umano»! Donald si terrorizzò a tal punto che la penna gli cadde dalle mani. Rimase lì fermo come una statua, con gli occhi sbarrati e un’espressione a dir poco atterrita. Rastak respirava affannosamente, riprendeva fiato dopo quell’urlo che glielo aveva portato tutto via. Quelle tre parole ronzavano nella testa di Donald, lo seviziavano, lo spaventavano, e finirono per ipnotizzarlo. Così raccolse la penna e firmò, senza neanche pensarci su. Rastak scoppiò in una fragorosa risata ed esclamò «Finalmente hai capito! Ora non puoi più tornare indietro. Ci vediamo domani, qui, alla stessa ora. Portati tutto quello che ti serve e che ti è più caro, tranne quello stupido bracchetto. Si parte per Washington, socio». Donald annuì senza farsi altre domande. Tornò a casa e fece i bagagli, senza neanche bere la sua adorata cioccolata e accarezzare Bobby. Per tutta la notte quelle tre parole, non smisero di ronzargli in testa. Il suo sonno fu tormentato da incubi infernali e immagini di morte. La mattina dopo non era più lo stesso. Si presentò in estremo ritardo al lavoro, e alla prima critica di Brown lo guardò con uno sguardo infernale, come quello di Rastak, e il suo irritante capo, spaventato dalla sua occhiataccia, tacque. Alla fine della giornata Brown si diresse alla sua auto nel parcheggio, quando un’auto lo investì. L’ambulanza arrivò in ritardo e non ci fu nulla da fare. In lontananza Donald vide Rastak che gli fece l’occhiolino, dimostrazione che quello che era successo al suo capo non era stata opera del caso. Alla stessa ora del giorno seguente Donald si presentò di fronte al lampione, e lì vide Rastak nella stessa posizione del giorno precedente. Aveva due biglietti aerei in una mano e una valigetta stracolma nell’altra.  E cominciò a parlare con quel suo sorriso inquietante «Qui ci sono dieci milioni di dollari, amico mio. Non sai quanto io abbia faticato per fare tutti questi soldi, ma ora sono tuoi. Andiamo all’aeroporto. Partiremo per Washington fra tre ore. Lì tu conquisterai gli Stati Uniti e da lì il mondo. Ti aiuterò io a fare emergere le tue doti sconosciute». Quindi i due partirono e arrivarono a Washington il giorno dopo. Tutto quello che Donald doveva fare, secondo i comandi di Rastak, ere uccidere persone influenti e scalare la piramide della criminalità. E uccidere, stranamente, gli risultava molto semplice e naturale. Oltre a questa dote nascosta, accresciuta dal suo socio come aveva promesso, Donald scoprì di avere un gran talento nell’arte oratoria, e soprattutto nell’economia. In pochi mesi divenne il boss dei boss a Washington, e nessuno osava più mettergli i bastoni fra le ruote. Il mondo era nelle sue mani, quando il presidente degli States decise coraggiosamente di ostacolarlo. E allora per lui fu la fine. Donald lo uccise senza pietà e il seguente presidente non osò più dire una parola. Anzi, tutto quello che faceva era deciso o approvato dal boss, e quindi quell’uomo che fino a qualche mese prima era un povero impiegato era diventato il padrone degli Stati Uniti. Divenne il malavitoso più temuto al mondo, non solo per il suo potere economico, ma anche per le sue doti fisiche e la sua crudeltà. Chiunque aveva provato a sfiorarlo era stato ucciso ferocemente dallo stesso boss. Il suo impero durò altri trent’anni, ma al giorno del suo settantesimo compleanno Donald aveva un bruttissimo presentimento. Non si sentiva più al sicuro. Le sue notti tranquille finirono, iniziò a fare incubi terribili, come in quella notte, quella in cui aveva firmato. Una sera, durante il suo sonno tormentato, vide chiaramente quello che vedeva in modo ovattato e sfocato ogni notte: lui stava in mezzo alle fiamme, incatenato, con cani feroci, lupi e leoni che lo sbranavano, e sopra di lui, su un monte alto, vi era un trono vuoto, avvolto da un cerchio di fiamme. Ad un certo punto una creatura mostruosa, cornuta e con una lunga coda, con un tridente di fuoco, si avvicinò al trono con una risata malvagia. Attraversò il cerchio di fiamme in maniera disinvolta e sedette. Colpì il terreno con il suo tridente e le creature feroci si allontanarono da Donald. Il mostro demoniaco guardò l’uomo intensamente e cominciò a ridere a crepapelle. Poi, tutt’a un tratto smise di ridere, alzò una mano e da quella fuoriuscì una sfera oscura, che avvolse Donald e quegli animali infernali in un turbine di fiamme nere. E quelle fiamme sarebbero state un sigillo eterno. Guardando in cielo, il povero uomo incatenato vide un bagliore, e lì scorse sua madre e suo padre piangere per lui. Donald si svegliò e non era più quel boss crudele, quell’assassino temibile. Arrivò in casa un uomo dai tratti orientali, che si presentò come un ambasciatore della mafia giapponese, che era interessata a fare trattative con il grande boss. In realtà, non appena Donald si voltò, il giapponese tirò fuori una grande katana e lo trafisse. E il boss, steso per terra e in fin di vita vide nel volto del suo assassino quello di Rastak. Si risvegliò incatenato, in mezzo alle fiamme e agli animali feroci che aveva sognato la notte prima, che ringhiavano e ruggivano. A un certo punto guardò in alto, e vide il trono circondato dalle fiamme, ma non era vuoto, infatti lì seduto c’era il mostro che si era immaginato di notte. La bestia lo guardò ridendo «Ah ahahah! Ci rivediamo mio caro Donald. Ti è piaciuto dominare il mondo per un po’? »Donald tremava e sudava. Guardava il demone e vedeva in lui qualcosa di familiare. «Chi…chi sei tu? Dove mi hai portato? Io sono il capo del mondo!» A quel punto il mostro rise più fragorosamente e esclamò «Qui non siamo nel tuo mondo! Siamo all’inferno! Tu conti come tutti gli altri peccatori». Poi la faccia del mostro si trasformò in quella di Rastak. «Ti ricordi di me, socio?» Donald lo guardò sbigottito «Rastak? Che…che cosa vuol dire questo?». Il demonio non smetteva di ridere, quando a un certo punto si alterò. «Vuol dire che, quando hai firmato, mi sono dimenticato di dirti che io non mi chiamo Rastak. Io sono Mefistofele, Belzebù, il Diavolo. E quello che hai firmato non era un contratto di garanzia qualunque. Quando hai firmato io ti ho consegnato il mondo, ma tu mi hai consegnato la tua anima. E adesso resterai qui a bruciare per l’eternità, insieme a quelle belve feroci e ai cani. A proposito di cani: ti ricordi di Bobby, che tu hai lasciato in quella casa a marcire per anni? Si chiama contrappasso. E ricorda che questo lo hai voluto tu».  Poi, proprio come nell’incubo di Donald, Mefistofele colpì terra con il tridente e creò con la sua mano una sfera oscura. «Addio, mio caro socio». Donald fu avvolto nel turbine di fiamme con le bestie e vide nel cielo il bagliore. Sua madre piangeva, suo padre lo guardava deluso. Donald rimase lì a bruciare per l’eternità.

 

 

Romolo Cannata II A

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